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Se passiamo all'esame delle condizioni stesse delle invenzioni, la linea divisoria tra invenzione tecnica e scienza riceve un'ulteriore giustificazione. Conviene sottolineare subito la differenza che sussiste tra invenzione e scoperta: quest'ultima, diversamente dall'invenzione, può spesso essere fortuita e accidentale. D'altra parte "dal punto di vista oggettivo del prodotto dell'attività dell'intelligenza, la scoperta si distingue dall'invenzione per il fatto di riferirsi a un fenomeno naturale, non provocato dal ricercatore, mentre l'invenzione è, al contrario, qualcosa che non esisteva prima che l'inventore l'avesse prodotta". Si è giustamente descritta l'invenzione nella sua generalità come la "presa di coscienza di un problema unita alla decisione di risolverlo". Questa presa di coscienza scaturisce generalmente "qualora si incontrino difficoltà o impedimenti nel processo operativo". Alla presa di coscienza subentra una tensione intellettuale che caratterizza principalmente per la perseveranza nella ricerca. Presa di coscienza e tensione implicano che l'inventore, nel caso dei progressi tecnici che qui ci interessano, sia in diretto contatto con un determinato settore di attività, il che era ben lungi dall'essere il caso degli scienziati e della frazione della popolazione in possesso di conoscenze scientifiche approfondite.

Le invenzioni tecniche degli scienziati hanno quasi sempre mirato alla scoperta di strumenti utili al proseguimento della ricerca scientifica (il telescopio di Galileo ne è l'esempio più rappresentativo). I biografi degli inventori rivelano che, generalmente, questi ultimi intrattenevano rapporti costanti e diretti con il settore in cui realizzarono l'invenzione. Dudley e Darby, i due nomi cui è legata l'introduzione del carbone nella lavorazione del ferro, lavorarono entrambi nel settore siderurgico. Lo stesso dicasi di Cort (puddellaggio) e di Nelson (soffiatura ad aria calda). Ma questa indipendenza della tecnica nei confronti della scienza non si riscontrerà più nei progressi di più grande importanza realizzati verso la metà del secolo XIX nella metallurgia dell'acciaio: la complessità del problema richiedeva infatti un bagaglio di conoscenze teoriche; Bessemer, come pure Le Châtelier, era ingegnere. Thomas e Gilchrist, cui si deve il procedimento Thomas, possedevano entrambi una solida cultura scientifica. Tuttavia, a questi scienziati bisogna associare i nomi di Siemens e Martin, che lavoravano nel ramo siderurgico; nel secolo XX, i progressi della tecnica siderurgica si dovranno quasi esclusivamente agli scienziati. Gli inventori cui sono legati i progressi della meccanizzazione del lavoro nel tessile, seppure non tutti direttamente in contatto con tale lavoro, restarono tuttavia abbastanza in disparte dalla vita scientifica. J. Watt era infatti falegname e Arkwright barbiere; il loro interesse per il tessile era motivato solo da ragioni di ordine finanziario. Inoltre, a causa del loro rango sociale, si trovavano in diretto contatto con operai e imprenditori del tessile.

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La situazione era diversa nell'ambiente scientifico. La filatrice realmente operazionale, che ha avuto una parte veramente determinante nell'estensione della filatura meccanica, cioè il filatoio intermittente (mule jenny), si deve a un uomo (Crompton), che debuttò come operaio in una filanda. John Kay, l'inventore della navetta volante era, dal canto suo, fabbricante di pettini per macchine tessili. D'altronde, nei primi decenni della meccanizzazione dell'industria tessile, le macchine venivano generalmente fabbricate da aziende che si occupavano del lavoro del tessile. Solo più tardi - e qui la sostituzione del ferro al legno svolse una funzione importante - alcune officine specializzate si incaricarono di fabbricare queste macchine. Ciò consentì una specializzazione favorevole all'apporto di perfezionamenti che richiedevano una qualificazione tecnica assai alta.Se, in un certo modo, si può considerare Watt uno scienziato, occorre non dimenticare che i perfezionamenti che egli introdusse nella macchina a vapore altro non furono che il risultato delle sue constatazioni sullo scarso rendimento delle macchine di Newcomen, il quale, dal canto suo, era fonditore e fabbro. Per altro, come osserva Dickinson, "a lungo dopo la morte di Newcomen, le migliorie apportate alla sua macchina si dovettero a dei practical men, dato che i filosofi sembravano considerare le macchine poco degne della loro attenzione". In effetti, il primo scienziato a occuparsi di macchine a vapore fu Smeaton (un ingegnere che costruì la sua prima macchina a vapore nel 1769); ma le macchine derivate da quelle di Newcomen e Savery continuarono a imporsi ampiamente fino a circa il 1780, epoca in cui cominciarono a diffondersi le macchine costruite da Watt e Boulton.

 

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