Filmografia di Pasolini

Accattone, Mamma Roma e La Ricotta si rivolgono al sottoproletariato urbano: il regista mette infatti in evidenza tutti i problemi legati al boom economico, in primis la forte migrazione verso le città. Coloro che abbandonavano le campagne per la vita cittadina si trovavano “dissociati” dalla mentalità e dagli schemi di vita a cui non erano abituati. Egli rappresenta con efficacia queste tematiche all’interno dei primi due film: Accattone e Mamma Roma, nei quali i protagonisti non riescono ad integrarsi nella comunità romana.
Con La Ricotta si completa la trilogia improntata sul sottoproletariato romano e provinciale, infatti tratta di una comparsa assunta per svolgere il ruolo di uno dei due ladroni crocifissi con il Cristo. Il film viene giudicato scandaloso in quanto trasmette l’idea che il personaggio di Cristo sia in realtà la comparsa stessa. Pasolini verrà incarcerato per vilipendio della religione: non era ammissibile l’idea che Cristo fosse in realtà uno dei due ladroni.

Con Il Vangelo Secondo Matteo, Pasolini gira un film inattaccabile dal punto di vista cattolico, morale o storico. Dopo un sopralluogo in Palestina, e un accordo un grande biblista, costruisce un’opera ortodossa, mettendo comunque in risalto l’aspetto “rivoluzionario “ di Gesù Cristo.
Arrivano subito le critiche dai compagni di sinistra, che lo accusano di essersi “venduto al nemico”. Lui ribatterà di non aver cambiato la sua linea di pensiero, rimanendo marxista e ateo, ammettendo però che il boom economico ha portato ad una perdita di valori, in particolar modo del senso del sacro.

Anni Sessanta-Settanta

Il comunismo sta acquisendo potere in tutto il mondo, compresa l’Italia. Specialmente nell'Unione Sovietica, il Partito Comunista prende sempre maggiore forza fino a dare origine a una dittatura. In Italia, poco dopo, il PSI propone agli italiani una nuova rete televisiva: rai due. Anche qui quindi comincia a prendersi il suo spazio.
È appena terminato il boom economico, che ha sconvolto la società italiana in quanto improvviso e rapido nell’evolversi. Tuttavia esso ha mantenuto i problemi strutturali della società precedente e porta così alcune persone all’estrema povertà e all’esclusione da questa nuova Italia. Una nuova Italia più ricca ma comunque analfabeta, ad esempio.
Pasolini è consapevole di questo e decide di intraprendere anche la via cinematografica, che ritiene la più diretta e di più immediata comprensione da parte del pubblico a cui si rivolge. Il suo destinatario è infatti il neoproletariato urbano, la nuova classe di mezzo, che diventerà la borghesia dirigente. Inoltre nel cinema c’è molto più spazio per la libera espressione, rispetto alla letteratura di cui lui comunque è un noto esponente in quegli anni.
In questo modo Pasolini inizia la sua storia di regista, un nuovo tipo di regista, senza regole, umorale, del tutto originale, capace di trasmettere nuove sensazioni (anche se ovviamente in molti casi alcune inquadrature non sono impeccabili). È proprio questa mancanza di regole che porta Pasolini al successo, aiutato dai temi che tratta, che sono direttamente legati al sottoproletariato delle periferie, soprattutto per quanto riguarda le opere degli anni ’60.
“Nel '60 ho girato il mio primo film, che s'intitola "Accattone". Perché sono passato dalla letteratura al cinema? Questa è, nelle domande prevedibili in una intervista, una domanda inevitabile, e lo è stata. Rispondevo sempre ch'era per cambiare tecnica, che io avevo bisogno di una nuova tecnica per dire una cosa nuova, o, il contrario, che dicevo la stessa cosa sempre, e perciò dovevo cambiare tecnica: secondo le varianti dell'ossessione. Ma ero solo in parte sincero nel dare questa risposta: il vero di essa era in quello che avevo fatto fino allora. Poi mi accorsi che non si trattava di una tecnica letteraria, quasi appartenente alla stessa lingua con cui si scrive: ma era ella stessa una lingua... E allora dissi le ragioni oscure che presiedettero la mia scelta: Quante volte rabbiosamente e avventatamente avevo detto di voler rinunciare alla mia cittadinanza italiana! Ebbene, abbandonando la lingua italiana, e con essa, un po' alla volta, la letteratura, io rinunciavo alla mia nazionalità.”


Pasolini regista, gli inizi.

Pasolini inizia la sua attività di regista nel 1961 con il film Accattone, che egli gira nelle borgate romane riprendendo temi e personaggi del suo romanzo Ragazzi di vita.
Il film vuole essere una accorata testimonianza e drammatica adesione alla violenza antiborghese degli emarginati.
Nel 1962 produce il lungometraggio Mamma Roma nel quale riprende personaggi e ambienti del film precedente con l'intento di arricchire in modo più articolato il proprio universo.
Se infatti nella narrazione di "Accattone" egli illustra un progressivo dissolvimento, in Mamma Roma si intravede una speranza di riscatto, anche se frustrata, attraverso il raggiungimento di uno status socialmente riconosciuto e rispettato, oltre all'emergere del senso protettivo materno che non riuscirà, comunque, a proteggere la fragilità del figlio.
Nel 1963 con il film La ricotta, Pasolini giunge a uno dei più intensi risultati del suo cinema. In esso viene presentata la tragica "Passione" di un sottoproletario, Stracci, di cui vengono sottolineate l’umiliazione e la sofferenza.

L’analisi di Pasolini della nuova società del consumismo

Pasolini è stato principalmente un uomo di cultura e portatore di un pensiero controcorrente.
La sua visione artistica si è espressa in egual maniera nel cinema e nella letteratura, in forma di narrativa, saggistica e poesia.
Egli diviene piuttosto ricercato soprattutto per progetti che hanno come argomento la vita nelle borgate.
Come regista, Pasolini ha creato una sorta di secondo neorealismo, sfruttando costantemente ed in maniera profonda gli aspetti che più fanno della vita quotidiana una sorta di commedia dell'arte. Non si preoccupò di nascondere ogni particolare, anche il più miserevole; e questo gli attirò ancor più l'ostracismo di quegli strati sociali e di quei gruppi politici interessati, per contro, a tenere nascosta una realtà scomoda che, se esaminata con l'occhio visionario dell'artista e del poeta, poteva risultare destabilizzante.
Pasolini avvia una lucida analisi del centralismo della civiltà dei consumi che si è oggi sviluppato nella forma della mercato universale, della unificazione economica e della comunicazione globale.
Ne individua la base nella “rivoluzione delle infrastrutture” e nella “rivoluzione del sistema di informazione”. Soprattutto la televisione, “autoritaria e repressiva”, divenuta centro di elaborazione dei messaggi, ha avviato, osserva Pasolini, un’opera di acculturazione omologante, che non ammette altra ideologia che quella del consumo, secondo le norme di quella che egli chiama “Produzione creatrice di benessere” .
Un punto fermo dell’analisi di Pasolini è il fatto evidente che le due culture, quella della borghesia e quella del popolo, come pure le due storie, quella borghese e quella proletaria, si sono unite, in conseguenza di una “borghesizzazione totale e totalizzante” (Pasolini 1976. p. 80).
La responsabilità ideologica di tale unificazione è, secondo Pasolini, di tutti coloro, intellettuali e partiti di sinistra, che in buona o in cattiva fede, hanno creduto di dover risolvere il problema della povertà sostituendo la cultura e i modi di vita delle classi povere con la cultura e le abitudini della classe dominante; cioè hanno creduto, dice Pasolini, che la storia non sia e non possa essere diversa dalla storia borghese.

La tolleranza

Pasolini denuncia il carattere totalitario di questa unificazione, e mostra come la sua repressività sia falsamente permissivista e ipocritamente tollerante.
“La tolleranza, sappilo”, dice Pasolini, “è solo e sempre puramente nominale. Non conosco un solo esempio o caso di tolleranza reale. E questo perché una “tolleranza reale” sarebbe una contraddizione in termini. Il fatto che si “tolleri qualcuno” è lo stesso che lo si “condanni”.
La tolleranza è anzi una forma di condanna più raffinata (ivi, p. 23)”.
Il significato effettivo della parola “tolleranza” e del verbo “tollerare”, è pienamente avvertito nel participio passato “tollerato”. Pasolini sa tutto questo poiché dice di sperimentarlo personalmente, avvertendolo sulla propria pelle: “Io sono come un negro in una società razzista che ha voluto gratificarsi di uno spirito tollerante. Sono cioè ‘tollerato’”(ibidem).

Il “nuovo fascismo”

Con la “produzione creatrice di benessere” è connessa la diffusione del “nuovo fascismo consumistico”. Il carattere nuovo di tale “fascismo” sta, per Pasolini, nel fatto che a differenza del fascismo tradizionale che non era riuscito a modificare gli italiani, questo sta producendo una “rivoluzione antropologica”, “una mutazione della cultura italiana”, un cambiamento radicale delle coscienze, una “irreversibile degradazione”.
Pasolini evidenzia, il “carattere distruttivo dell’attuale”, il carattere distruttivo della fase economica della “produzione creatrice di benessere”. “La sua prima esigenza è quella di far piazza pulita di un universo ‘morale’ che le impedisce di espandersi” (Pasolini 1990, p. 23).
Salò o Le 120 giornate di Sodoma è il film, dice Pasolini, che raffigura l’Italia com’è diventata nell’arco di una decina d’anni e anche meno:
“Un’immensa fossa di serpenti, dove, salvo qualche eccezione e alcune misere élites, tutti gli altri sono appunto dei serpenti, stupidi e feroci, indistinguibili, ambigui, sgradevoli. E tutto ciò a causa:

  1. del loro degradante consumismo coatto, e, in secondo luogo e settorialmente,
  2. della scuola dell’obbligo che li ha frustrati rendendoli coscienti della propria ignoranza e nel tempo stesso presuntuosi per quelle quattro sciocchezze moralistiche e pseudo-democratiche che vi hanno imparato;
  3. della televisione, che mostra loro i modelli di vita e concretizza i valori attraverso il suo linguaggio che, essendo pura rappresentazione, non ammette repliche logiche;
  4. di una infinità di altre cause tutte concorrenti e tutte nate dalla stessa matrice che è il mutamento della natura del Potere economico” (Pasolini 1991, p. 319).

I giovani

Le vittime principali di tale mutazione antropologica sono i giovani. “I giovani italiani nel loro insieme costituiscono una piaga sociale forse ormai insanabile: sono o infelici o criminali o estremisti o conformisti: e tutto in una misura sconosciuta fino ad oggi” (Pasolini 1976, p. 90). La privazione di valori ha gettato i giovani nel vuoto, facendone una “massa di criminaloidi”.
Non solo i criminali veri e propri sono una “massa”: ma, ciò che più conta, l’intera massa giovanile italiana (eccettuate piccole élites...), è costituita ormai da criminaloidi: ossia da quelle centinaia di migliaia o milioni di giovani che patiscono la perdita dei valori di una “cultura” e non hanno trovato intorno a sé i valori di una nuova “cultura”: oppure accettano, con ostentazione e violenza, da una parte i valori della “cultura del consumo”, dall’altra i valori di un progressivismo verbalistico (ivi, p. 81).
La parola “cultura”, chiarisce Pasolini in una articolo sui giovani e la droga, non indica soltanto la cultura specifica, d’élite, di classe: indica anche, e prima di tutto, secondo l’uso scientifico che ne fanno etnologi, antropologi, e sociologi, “il sapere e il modo d’essere di un paese nel suo insieme, ossia la qualità storica di un popolo con l’infinita serie di norme, spesso non scritte, e spesso addirittura inconsapevoli, che determinano la sua visione della realtà e regolano il suo comportamento” (ivi, p. 87).
Tutte le classi sociali sono coinvolte nella perdita dei vecchi valori e nella mancanza di nuovi, alternativi agli pseudovalori del consumismo; ma i più colpiti sono i giovani delle classi povere: “appunto perché essi vivevano una ‘cultura’ ben più sicura e assoluta di quella vissuta dalle classi dominanti” (ivi, p. 89). È sulla base di questa analisi che Pasolini considera il fenomeno della droga e cerca di spiegarne il dilagare fra i giovani e soprattutto fra quelli degli strati sociali più bassi e dei quartieri popolari più emarginati.
La diretta lettura del processo di trasformazione dei giovani delle classi povere è offerta a Pasolini dai comportamenti dei giovani delle borgate romane, precisamente dalla trasformazione, registrabile nel 1975— anno in cui viene proiettato in televisione Accattone, che è del 1961—, dei giovani della malavita delle borgate romane rispetto a com’erano meno di una quindicina di anni prima e quali erano raffigurati nei personaggi di Accattone.
I personaggi di Accattone erano tutti ladri o magnaccia o rapinatori o gente che viveva alla giornata. Certo, il materialismo consumistico e la criminalità dilagano in tutto il modo capitalistico, e non solo in Italia. Ma ciò che caratterizza quanto avviene in Italia all’inizio degli anni Settanta, osserva Pasolini, è il passaggio violento all’omologazione consumistica. Ciò che oggi avviene violentemente in Italia è, negli altri paesi, il risultato di un lungo processo che ha trovato possibilità di compensazione:
“A New York, a Parigi, a Londra, ci sono delinquenti feroci e pericolosi (quasi tutti, toh!, di colore): ma ospedali, scuole, case di riposo, manicomi, musei, cinema d’essai, funzionano perfettamente. L’unità, l’acculturazione, l’accentramento sono avvenuti in ben altro modo. Dei loro genocidi è stato testimone Marx più di un secolo fa. Che tali genocidi avvengano in Italia oggi, cambia sostanzialmente la loro figura storica. Accattone e i suoi amici sono andati alla deportazione e alla soluzione finale silenziosamente, magari ridendo dei loro aguzzini. Ma noi testimoni borghesi?” (ivi, p. 158).
L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che “omologava” gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale “omologatore” che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo.
Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due Persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). […]
Il ragazzo piccolo borghese, nell’adeguarsi al modello “televisivo” - che essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale – diviene stranamente rozzo e felice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio “uomo” che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali.

La televisione

La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto “mezzo tecnico”, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. E’ il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. E’ attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere.
Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie appunto la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre…”.

Bibliografia

www.mymovies.it
www.wikipedia.it
digilander.libero.it

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