Ordinamento politico del comune di Firenze

La vita politica dei comuni italiani del XIII° secolo è caratterizzata dal conflitto tra "magnati" e "popolani". Le società di popolo, come le Arti, si opponevano al comune podestarile sorretto dal ceto nobiliare: alla figura del podestà contrapponevano infatti, come rappresentante dei loro interessi, il capitano del popolo.

Il governo delle Arti a Firenze

Nelle città di maggior peso commerciale e produttivo il comune popolare, appoggiandosi di solito alla parte guelfa, non cessò mai di aumentare il proprio potere e prestigio a spese di quello podestarile.
Già nel 1250 ("Il primo governo di popolo nel racconto di Giovanni Villani") per limitarci al solo caso di Firenze, il capitano del popolo era di fatto la principale autorità cittadina. La lotta politica degli anni successivi condusse a diversi cambiamenti di regime politico: nel 1260 i ghibellini abolirono il comune popolare e, dopo il 1266, il potere cittadino fu in mano alla parte guelfa. Nel 1282, i grandi mercanti fiorentini assunsero direttamente il governo della città ("La costituzione del potere borghese a Firenze"), non più attraverso il capitano del popolo, ma per mezzo di un ristretto consiglio di rappresentanti delle principali organizzazioni dei mercanti, le Arti, posto accanto al podestà.
Negli anni successivi il potere del comune delle Arti crebbe costantemente, finché nel 1293 si arrivò ad un definitivo assetto delle istituzioni comunali: il comune popolare, che già aveva imposto con la forza alle famiglie nobiliari di abbassare le torri ad un’altezza massima di 29 metri, fu abbastanza forte da passare ad una decisione più drastica: tutte le torri furono abbattute, mentre decine di famiglie nobili, tanto guelfe che ghibelline, furono espulse dalla città o private del diritto di rivestire una qualsiasi carica pubblica. Con lo sviluppo del comune di popolo, infatti, i magnati fiorentini nel giro di alcuni decenni erano stati esclusi con una legislazione molto severa che chiamiamo comunemente leggi antimagnatizie. Tali leggi fiorentine presero il nome di Ordinamenti di Giustizia. Essi sancivano il trionfo delle arti e, nell’escludere dal governo della città i magnati, specificavano anche che, con quel nome, si intendeva a Firenze ogni famiglia, fosse nobile o popolare, che avesse o avesse avuto al suo interno almeno un cavaliere.

Cliccare per ascoltare il passo di Dante tratto dalla Divina Commedia, Paradiso XV, versi da 97 a 129

Gli Ordinamenti fiorentini produssero, oltre all’esclusione dal Governo delle grandi famiglie di magnati, anche quella definitiva dei ceti artigiani e popolari più bassi. Nel comune gestito dalle arti maggiori, infatti, il capoparte Giano della Bella si era fatto portavoce degli interessi delle Arti minori nelle quali a Firenze erano organizzati i lavoratori del popolo minuto e che erano emarginate dal potere; ma contemporaneamente aveva proposto anche la confisca dei beni della parte guelfa che era, invece, la roccaforte dell’aristocrazia che voleva tornare a governare la città.
E fu proprio l’audacia di questa seconda proposta a spaventare anche i grandi mercanti delle arti maggiori al governo, i quali temevano che, com’era successo con i magnati, in futuro anche i loro interessi potessero essere insidiati dalla crescita politica del popolo minuto; fu così che, insieme alle 147 famiglie magnatizie che non potevano partecipare alla vita pubblica della città, rimase escluso dalla vita politica fiorentina anche il popolo delle Arti minori che si era riconosciuto in Giano. Al governo di Firenze rimasero solo i rappresentanti delle Arti maggiori, l’alta borghesia.
Dal 1293 iniziò l’ascesa di nuove famiglie, non più legate alle consorterie nobiliari del XII° e XIII° secolo e alle parti guelfe e ghibelline. Nel nuovo comune borghese il potere fu totalmente in mano ai priori delle Arti maggiori, che rappresentavano gli interessi dei mercanti di lana ("Lo Statuto fiorentino dell’Arte della Lana") e seta, dei finanzieri e banchieri, dei giudici e notai, dei medici e speziali, dei pellicciai e dei fabbricanti dei tessuti di lana (le Arti minori radunavano artigiani, bottegai e albergatori).

                                                                                    Cliccare per ascoltare il passo di Dante tratto dalla Divina Commedia, Paradiso IX, versi da 127 a 142

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