Giulia
Marelli 5 A
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C’è sempre
qualcuno così che si crede superiore e sminuisce gli altri. Oppure
qualche intelligente che però fa la figura dello sfigato. O tutt’e due:
un intelligente che, proprio perché è tale, non si conforma e irrita gli
altri con il suo comportamento da saccente. Tutti siamo dei pettegoli, chi
più chi meno.
Ma chi è intelligente non giudica che chi fa così spesso è brutto
fisicamente. Rende brutto anche ciò che è bello.
Sputasentenze… chi non lo fa al giorno d’oggi? Tutti si scandalizzano
sempre per tutto, ma chi si scandalizza di più è colui che conosce in
prima persona lo scandalo, quindi che l’ha vissuto. (Chi ficca il naso
ce l’ha lungo, vedi Bea, ma non dirglielo)
.
Mia nonna dice sempre “non ti posso soffrire” Utile e futile – la
musica bella è quasi sempre considerata lasciva…non bisogna ascoltare
chi lo pensa, la musica viene sempre dal cuore. Bisogna essere
anticonformisti per vivere nel mondo, ma adattarsi a diventare pecore per
esistere. O sei così o non esisti.
Chi può dirmi che cosa è giusto e che cosa non lo è?
Piazza…ha sempre rappresentato il luogo pubblico. Tutti sanno tutto in
piazza.
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Bonelli Giulia
5 D
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La
musica? Chi ci pensava più ormai. Il tempo in cui il paese era invaso
ogni domenica pomeriggio dalle tremule note dei mandolini che
accompagnavano i canti popolari era solo un ricordo lontano. E così pure
il teatro, il cinema, il bar della piazza: ogni forma di svago era stata
cancellata da quando era arrivato lui, e qualcuno cominciava a dubitare
che fosse mai esistita.
Gli abitanti di Cuomolo erano gente semplice, senza pretese. Un gioco da
ragazzi per lui.
Era arrivato nel paese in un giorno di pioggia, portandosi appresso un
baule di legno di noce e un bastone da passeggio con il pomolo d’argento
intarsiato. Aveva attraversato la piazza con passo lento e cadenzato –
lo stesso che ora faceva rabbrividire al solo pensiero. Ma lì per lì
nessuno si era accorto del suo arrivo, nessuno l’aveva visto. O meglio,
l’avevano veduto, ma non ci avevano fatto caso, perché di forestieri a
Cuomolo ne andavano e venivano e non era certo una novità.
Aveva preso una camera d’albergo e vi ci si era rinchiuso, facendosi
vedere solo una volta al giorno, per mangiare al bar della piazza. Un tipo
solitario, diceva la gente: uno di quelli da lasciare in pace e tanto
bastava. I Cuomolani erano persone per bene, badavano ai loro affari senza
impicciarsi. Solo qualcuno andava dicendo che il forestiero usciva qualche
volta da solo, nelle notti senza luna. Che fosse un trafficante d’armi?
Ma erano voci, nulla di più.
E poi, dalla sera alla mattina, il sindaco sparisce, il bar della piazza
viene chiuso, le feste abolite.
Lavoro, lavoro, lavoro. Ecco l’etica del nuovo padrone, che non
chiamavano mai per nome. Era solo “Il Padrone”. Niente più
spettacoli, niente più musica, niente più cannoli della domenica, di
quelli che vendeva al mercato la moglie del fornaio.
L’intera Cuomolo sembrava essersi adagiata con inerzia nel nuovo regime
del Padrone. Tutti erano come assopiti, cercavano di tenere il capo basso
e non farsi notare. Tutti, tranne uno.
Romino il falegname, detto Romì, aveva dichiarato al Padrone tacita
guerra. Poca cosa, in realtà: lievi mancanze, piccoli sabotaggi qua e là.
Nessuno a Cuomolo credeva che potesse servire a qualcosa. Quelli che
avevano ancora voglia di scherzare – assai pochi, in realtà – ogni
volta che lo incontravano lo apostrofavano:
«Ehi, Romì! Quando la fai, allora, la rivoluzione?»
Ma Romino tirava dritto per la sua strada e non
dava retta a nessuno.
E poi un giorno la fece davvero, la rivoluzione. I Cuomolani si alzarono
una mattina e trovarono tutto sottosopra. I muri erano verniciati a
chiazze gialle e rosse, decine di cani randagi giravano per le vie
abbaiando e guaendo, piccoli
fuochi ardevano qua e là, come alimentati da soli. E una musica
assordante faceva tremare i vetri delle case: non si sapeva da dove
provenisse.
Romino stava là in mezzo, a dirigere le danze, con quella sua solita aria
seria seria.
Fu furore generale. I Cuomolani si riversarono per le strade ridendo e
urlando, riprendendosi le loro cose, distruggendo a casaccio. Il nome di
Romino echeggiava fin nei più remoti angoli del paese.
Per quattro giorni i festeggiamenti proseguirono ininterrotti. Il quinto
giorno, senza dire niente a nessuno, Romino se ne andò. Lo cercarono
dappertutto ma niente, era sparito nel nulla. E allora i Cuomolani si
misero di buona volontà per mettere a posto le cose. Elessero un nuovo
sindaco, pulirono le strade, chiamarono i musicanti che accompagnassero i
canti popolari delle feste di paese; poi si misero a cercare un altro
falegname, perchè Romino non c’era più.
Dopo un po’ lo trovarono. Era un forestiero arrivato in paese in un
giorno di pioggia: forse un po’ strano, un po’ solitario, a tratti
persino un po’ sospetto… ma i Cuomolani erano brava gente, senza
pretese e non facevano mai troppe domande.
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