La Fayette
Generale e uomo politico francese nacque presso il castello di Saint-Roch de Chavaniac, Alvernia nel 1757. Liberale per tutto l’arco della sua vita politica, dalla campagna d’America e dai prodromi rivoluzionari fino alla monarchia di luglio, nel suo amore di libertà diede forma democratica al nome nobiliare La Fayette. Per non sottostare allo spirito servile della corte scelse la carriera delle armi. Alla notizia della guerra d’Indipendenza americana, dopo aver tentato inutilmente di convincere il governo francese ad inviare truppe in aiuto degli insorti, organizzò un proprio corpo di spedizione e nel 1777 raggiunse, a Georgetown, Washington, col quale strinse amicizia e dal quale ebbe il comando di una divisione. Tornato in Francia all’inizio del 1779, venne accolto con grande onore e riuscì a convincere il suo governo ad appoggiare Washington. Nell’aprile del 1780 tornò in America al seguito di un corpo di spedizione comandato dal generale Rochambeau. Il suo prestigio e l’intervento della Francia gli consentirono di sedere al tavolo delle trattative parigine del 1782-83, che si conclusero con il riconoscimento dell’indipendenza delle colonie americane. Tenace assertore della necessità di riforme in Francia, tanto da essere congedato, nel 1788, dall’esercito per il suo atteggiamento contestatario e soprattutto per aver criticato gli editti di Lamoignon, venne eletto deputato dai notabili di Riom agli Stati Generali l’anno seguente. Conscio degli eccessivi privilegi dell’aristocrazia, mirò a svolgere una funzione moderatrice al disopra delle fazioni, anche col segreto intento di non perderli del tutto, pur manifestando il suo aperto appoggio al Terzo Stato. Suo modello, oltre alla democrazia americana, fu lo Stato inglese che consentiva la sopravvivenza della nobiltà e di parte dei suoi privilegi. L’11 luglio dello stesso anno propose all’Assemblea Costituente, di cui era divenuto vicepresidente, un progetto di Dichiarazione dei diritti, ispirato alla Dichiarazione d’indipendenza voluta da Jefferson. Nominato poco dopo capo della milizia borghese, che chiamò Guarda Nazionale, tentò di operare una mediazione tra il popolo insorto e Luigi XVI, cui il 17 luglio, all’Hotel de Ville, impose la coccarda tricolore. Costante fu il suo tentativo di conciliare la rivoluzione con la monarchia, in appoggio a Mirabeau che in un primo tempo ne condivideva gli intenti e che sosteneva l’opportunità di lasciare al re il diritto di guerra e di pace. La corte tuttavia, specie la regina, nella sua ottusità reazionaria lo avversava e ne impedì la nomina a sindaco di Parigi. La Fayette disapprovò la fuga del re a Varennes del 1791, ch’egli voleva presente e responsabile in quei gravi momenti storici, e neppure un mese dopo, il 17 luglio, come luogotenente generale fece sparare sui dimostranti repubblicani del Campo di Marte. Approfittò poi della scissione dei giacobini per fondare il club dei più moderati foglianti con Barnave, Duport e Lameth. Nella speranza di salvare la monarchia suggerì al re di proteggere gli esiti della rivoluzione dichiarando guerra agli Stati europei che si andavano alleando per attaccare la Francia e annullare i poteri del popolo. Ebbe quindi il comando di uno dei tre eserciti del Centro e sospese le operazioni militari per protestare contro l’umiliazione inflitta al sovrano che il 20 giugno 1792 fu accusato di tradimento dai sanculotti urlanti per gli insuccessi militari alla frontiera settentrionale. Toccò a La Fayette assumere allora il comando dell’esercito del Nord, ma per aver protestato contro l’arresto del re dopo la giornata del 10 agosto, venne accusato a sua volta di tradimento e dovette fuggire. La speranza di poter riparare in Inghilterra svanì con la cattura da parte degli Austriaci che lo liberarono solo con la Pace di Campoformio del 1797. Rientrò in Francia dopo il 18 brumaio, si oppose all’azione autoritaria di Napoleone e alla sua caduta favorì i Borboni nelle loro tendenze costituzionali. Deputato liberale durante la Restaurazione, fu ancora una volta il propugnatore di una democrazia sull’esempio degli Stati Uniti d’America. Assertore della monarchia, favorì tutte quelle riforme che la rinsaldavano facendola interprete del volere del popolo. La monarchia costituzionale di Luigi Filippo lo entusiasmò a tal punto che il 31 luglio 1830, accogliendo all’Hotel de Ville il sovrano, esclamò: "Ecco la migliore delle repubbliche!". Attento ad ogni anelito di libertà, parteggiò per tutti i tentativi rivoluzionari europei, aderendo anche alla carboneria, fino a suscitare l’ostilità del governo e a venire del tutto isolato negli ultimi anni della sua vita, che terminò nel 1834, a Parigi.