ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE

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Una tendenza molto in voga ai giorni d’oggi spinge a pensare che sia "arte" soltanto un determinato patrimonio tramandatoci dai tempi passati ed è incline invece a scartare tutto ciò che non rientra direttamente nel campo "canonico " della pittura, scultura, o della grande architettura sacra e civile.
L’importanza di altre strutture quali patrimonio umano è sottovalutata poiché si crede che tali opere non siano state concepite come strumenti di espressione artistica ma con fini pratici immediati e quindi limitati a questa funzione. Non considerando che l’arte pura, fine a se stessa, risulta piuttosto rara (essa è invece spesso uno strumento di espressione e di affermazione di un potere e di manifestazione di un’idea) bisogna condividere che ogni prodotto materiale dell’azione umana potrebbe essere considerato come "arte " in quanto tappa dell’evoluzione operativa dell’uomo e in quanto traccia di un passato che non va dimenticato. Così come gli utensili dei primi uomini sono ormai considerati a pieno effetto le prime manifestazioni artistiche, (nonostante il loro uso e la loro destinazione fosse solo quella pratica) così una poltrona del secolo scorso può essere osservata sotto una nuova ottica.

In particolare può essere interessante soffermarsi sulla concezione storica della "Cultura materiale" sostenuta dalla scuola degli "Annales" (i cui principali esponenti sono Braudel e Bloch); secondo questa corrente di pensiero, la storia umana non è fatta solo di celebratissimi eventi ufficiali citati nei libri di testo ma è fatta, per la maggior parte, dalle masse popolari, ignare di paci o trattati. Senza nulla togliere alla battaglie, alle riforme, o ai personaggi che hanno fatto la storia ufficiale, viene insomma rivalutato il ruolo svolto dalle grandi masse, che, di fatto, hanno permesso e influenzato lo svolgersi degli eventi anche se in maniera meno evidente.
Purtroppo la teoria e la documentazione della vita del popolo ci è raramente trasmessa dalle fonti storiche (ed è questo un problema che esiste da sempre: fin dai tempi più antichi, infatti " l’arte " ufficiale è stata espressione di classi abbienti che potevano permettersi la celebrazione).
Un documento importante che ci resta della storia delle masse è però dato dalle tracce del loro operato, ovvero del loro lavoro. Per questo anche una fabbrica, un’industria o le strutture ad esse connesse assumono un’importante funzione di documento storico.
Un'altra opinione molto diffusa è quella che ormai ogni opera d’arte sia conosciuta e poco rimanga ancora da scoprire e che questo sia un compito che spetti ad archeologi e ricercatori. Ciò porta ad una diminuzione dell’attenzione verso ciò che ci circonda e ad un nichilismo che ci spinge spesso a sottovalutare tutto ciò che non è ufficialmente riconosciuto come patrimonio artistico.
L’archeologia industriale è una forma di resistenza a queste due tendenze; riguarda la salvaguardia di fabbriche e industrie e di tutto ciò che era a loro legato nel rispetto del loro contesto originario. Da una parte dunque essa mostra che anche i resti in disuso e non, delle strutture industriali possono essere considerati alla pari di manifestazioni d’arte in quanto importanti vestigia del passato della nostra storia; dall’altra ravviva l’attenzione del singolo cittadino sulle strutture che spesso vengono trascurate dall’arte ufficiale, affermando un diritto- dovere all’osservazione e alla valutazione dell’importanza delle strutture dell’operato umano. Considerato sotto questo punto di vista l’archeologia industriale non può limitarsi allo studio delle strutture ancora esistenti ma coinvolge anche la necessità di una profonda conoscenza delle situazioni storiche, sociali, politiche ed economiche nelle quali e in seguito alla quali gli edifici sono stati creati e modificati.
Ma l’archeologia industriale non si limita neppure a una semplice contestualizzazione degli oggetti del suo studio: essa si propone anche seriamente il problema del ripristino, del riutilizzo o della ricostruzione originaria degli impianti in modo tale da rendere più visibili le strutture così come si ergevano nel tempo e, al tempo stesso renderle nuovamente produttive, se non con le antiche funzioni, con altre che non ne intacchino però le strutture originali.
L’impianto della Richard Ginori, seppur in dimensioni ridotte, richiama il modello del villaggio operaio d’origine inglese per la presenza di strutture integrative associate alla fabbrica che suppliscano ai fabbisogni quotidiani degli operai.
Un esempio più completo in Lombardia di applicazione del modello inglese si ritrova nel villaggio operaio di Crespi d’Adda.

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