VENEZIA ARMENA

SAN LAZZARO

OGGETTI CONTENUTI NEL MONASTERO

SOTOPORTEGO DEI ARMENI

IL COLLEGIO ARMENO MOORAT

MECHITAR

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SAN LAZZARO

L’isola di San Lazzaro, uno dei primi centri mondiali di cultura armena, è una piccola isola situata nella laguna veneziana a ovest del Lido ed è occupata, quasi completamente, da un unico edificio: il monastero dei Mechitaristi, i quali prendono il nome da Mechitar.

Questo isolotto, essendo distanziato dalle principali isole che formano la città di Venezia, venne usato nel passato come lazzaretto ricevendo e mantenendo, infatti, il nome del patrono dei lebbrosi: San Lazzaro.

Nel 1717 (XVI secolo), San Lazzaro venne dato dalla Repubblica di Venezia a Manug di Pietro detto “Mechitar” (fondatore della Congregazione di San Lazzaro che possiamo vedere nella foto che ritrae la sua statua che si trova nel giardino di fronte all’entrata del monastero) e ai suoi compagni armeni scappati dalle persecuzioni dei turchi. Gli esuli armeni ristrutturarono una chiesa già esistente e fondarono un convento su i resti di edifici ormai vecchi e distrutti, ma l’edificazione dell’edificio venne iniziata solo dopo aver ampliato il territorio dell’isola, fino a farla diventare dell’attuale grandezza di 30'000 metri quadrati occupati anche dal verde e da varie specie di piante e di fiori, come la rosa canina con la quale i monaci producono un ottima marmellata.

Nell’isola possiamo trovare, all’interno del quasi unico convento di Venezia, un importantissimo centro culturale armeno dove vengono custoditi, in una biblioteca realizzata nel 1740 da Mechitar, testi e manoscritti di grande valore, per la loro lavorazione impreziosita con oro e lapislazzuli triturati è la più ampia raccolta di periodici e giornali armeni che esista.

All’interno del monastero troviamo anche molti oggetti e opere d’arte come ceramiche, argenti e tele di pittori armeni, che arricchiscono il valore e l’unicità di questo posto. torna su

OGGETTI CONTENUTI NEL MONASTERO

La chiesa

Il monastero degli armeni di San Lazzaro a Venezia, e suddiviso in varie parti: la chiesa, la biblioteca e il museo. Ognuna di queste parti contiene oggetti che hanno fatto la storia della popolazione armena, e continuano a essere ancora oggi importanti testimonianze del passato degli armeni.

L’abate Mechitar, dopo aver garantito le condizioni essenziali a sé e ai suoi confratelli per una sistemazione provvisoria nell’isola, nel piano di costruzione del nuovo monastero pose mano innanzitutto al restauro della chiesa, ma poté svilupparlo soltanto nel maggio del 1722, col sostegno di benefattori armeni e italiani. L’abside della chiesa, è decorata principalmente da mosaici, è chiusa da una tenda presente in tutti gli edifici sacri armeni, la quale viene chiusa durante il periodo della Quaresima. Dietro all’altare invece si possono ammirare tre vetrate provenienti da Innsbruck, le quali rappresentano S. Isacco e l’inventore della lingua armena ai lati, e S. Lazzaro al centro.

Mechitar ricostruì con marmi pregiati, l’altar maggiore, spostandolo in avanti per sistemarvi dietro il coro, e in seguito eresse due altari nelle navate laterali, dedicati alla Natività della Santa Vergine e a Sant’Antonio abate, ostruendo i passaggi medievali, i cui archi gotici sono ancora visibili nella tessitura muraria. Vennero inoltre risistemate le due cappelle ai lati dell’altar maggiore, dedicate alla Santa Croce e a San Gregorio Illuminatore.

Le arcate della chiesa furono decorate con dei mosaici, con la raffigurazione, dei santi armeni Ghevont, Hripsimè, Nerses di Lambron, Nerses il Parto, Santoukht, Vartan, Gregorio di Narek e Nerses il Grazioso.

Il presbiterio accoglie la tomba del fondatore Mechitar.

Tra i dipinti notevoli conservati nella chiesa vanno menzionate le pale degli altari laterali, dedicati alla Vergine Maria e a Sant’Antonio, rispettivamente di Francesco Maggiotto e di Francesco Zugno, allievo del Tiepolo. È interessante notare che l’effigie di Sant’Antonio l’Eremita è in verità il ritratto di Mechitar.

Il museo

Il museo, è la parte che contiene la maggior parte di reperti storici di tutto il monastero.

Alcune sale del museo San Lazzaro ospitano una parte dei reperti acquisiti e donati nei secoli dalla Congregazione. Nelle pareti della pinacoteca sono appesi numerose opere di pittori armeni di rilevanza mondiale quali Hovhannes Aivazovski (1817-1900) e Harutiun Ajemian (1904-1965). In una sala del museo si trovano reperti archeologici proveniente da ogni parte del mondo, come ad esempio alcuni ushapti (statuette egiziane di valore apotropaico), terrecotte antiche, ceramiche e oggetti d’arte orientale quali la ‘palla di Canton’, pezzo unico d’avorio nel quale furono ricavate 14 sfere concentriche. Sul soffitto è riportato lo splendido dipinto del Tiepolo “La pace e la giustizia”, che raffigura un’allegoria della Giustizia: una donna che schiaccia un serpente, ossia che lo punisce. Sono presenti nella sala anche alcune opere di scultura, tra cui un gesso di Canova, raffigurante il figlio di Napoleone Bonaparte.

Al lato opposto si apre una sala dedicata all’arte e storia armena, dove sono conservati alcuni importanti reperti bronzei, numerose ceramiche, argenterie in gran parte di uso liturgico, ed altri cimeli e oggetti di interesse storico, della civiltà di Urartu, antica popolazione armene.

In una piccola sala del museo è contenuta la mummia egiziana di Nemen Khet Amen, che risale al VII secolo e considerata una tra le meglio conservate al mondo, completa di sarcofago. Nella stessa stanza è presente un trono principesco indiano, in legno di tek decorato a tarsie eburnee.

La biblioteca

Attraverso un piccolo passaggio, si può entrare nella biblioteca del monastero di san Lazzaro. In questa sala si conservano dei manoscritti, che sono considerati il ‘tesoro’ più significativo della cultura armena. L’attuale patrimonio librario della Congregazione Armena Mechitarista è l’esito di una secolare attività di raccolta di testi e di acquisizione di collezioni. La biblioteca dei manoscritti, contiene circa 4000 testi che vanno tra il VI ed il XVIII secolo. La maggior parte di questi testi sono armeni, e infatti questa è considerata la maggiore collezione di manoscritti armeni conservata in Occidente. Ai primi del Novecento Artin Cerakian, ministro in Egitto, lasciò ai Padri una rara collezione di testi di archeologia che contribuirono a rendere la Biblioteca della Congregazione Mechitarista di San Lazzaro particolarissima nel panorama delle biblioteche mondiale. Tra i testi di questa collezione sono comprese le due edizioni originali della Description de l’Égypte, opera monumentale che segna la nascita dell’archeologia moderna, promossa da Napoleone durante la campagna d’Egitto. Attualmente la raccolta è conservata, in condizioni di adeguata climatizzazione e sicurezza, nella torre cilindrica appositamente costruita dall’architetto Andon Ispenian. Alla maggior parte dei manoscritti si aggiunse la collezione di ben 300 manoscritti donati ai Padri da Harutiun Kurdian e, di 8 manoscritti donati da Boghos Ispenian.
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SOTOPORTEGO DEI ARMENI

La calle degli armeni era il cuore del nucleo abitativo di Venezia dove fu addirittura costruito un ospizio composto principalmente da commercianti. Questa calle continua in un sottoportico, "Sotoportego dei Armeni", fatto di legno dove si apre una piccola porta che conduce alla Chiesa di Santa Croce degli Armeni. Dall’esterno non si capisce che è presente una chiesa perché, mancando gli spazi (visto che siamo vicino a Piazza S. Marco) probabilmente essa venne ricavata da una precedente abitazione; dall’esterno è possibile notare soltanto il piccolo campanile del 1500 con una guglia dalla forma a cipolla. La chiesa è aperta soltanto la domenica mattina durante le funzioni tenute dai padri cattolici mechitaristi dell’Isola di S. Lazzaro degli Armeni. All’interno della chiesa, a pianta quadrata e preceduta da un vestibolo, è possibile vedere la cupola centrale, il presbiterio, i due altari, i vari dipinti settecenteschi e l’arredamento barocco. Questo edificio, concesso agli armeni nel ‘200, fu ampliato nel ‘600 ed è l’unica chiesa rimasta funzionante dal Medioevo a Venezia. torna su

IL COLLEGIO ARMENO MOORAT

Palazzo Zenobio (Ca’ Zenobio) che si trova nel sestiere di Dorsoduro sul Rio dei Carmini, a Venezia, è un monumento eretto tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo, per la famiglia patrizia veneziana Zenobio.

E’ una delle creazioni architettoniche più espressive del barocco veneziano che dell’Ottocento è di proprietà dei Padri Armeni Mechitaristi di Venezia e dal 1850 sede del collegio armeno Moorat-Raphael.

Il collegio Moorat-Raphael ha preso il nome dei due ricchissimi mercanti armeni che nel 1834 vivevano in India, Samuel Moorat e Edoardo Raphael Lahramanian, i quali lasciarono per testamento un capitale alla congregazione mechitarista con lo scopo di far costruire dei collegi con corsi liceali esclusivamente per ragazzi armeni di qualsiasi provenienza mondiale. Il primo collegio sorse a Padova e prese il nome di Collegio Moorat e il secondo nato in uno dei più bei palazzi di Venezia, la Ca’ Pesaro, sul Canal Grande, venne intitolato Raphael. Ma vista la gran folla di ragazzi che accorse a quest’ultimo collegio, si incominciò a pensare all’idea di allargarsi e,così, nel 1850 il collegio Raphael lasciò Ca’ Pesaro e si trasferì a Ca’ Zenobio.

Nel frattempo il “Moorat” per scappare dall’occupazione austriaca si trasferì a Parigi dove ci resterà fino al 1870, anno in cui ritornerà in Italia, più precisamente a Venezia, in Ca’ Zenobio insieme al “Raphael” e, questa unione darà vita al Collegio Moorat-Raphael. (foto

All’interno del palazzo troviamo due meravigliose sale: la Sala degli Stucchi e la Sala degli Specchi.

La Sala degli Stucchi, alla quale si può giungere attraverso porte arcate, ha le sue pareti abbellite dalle tele di Luca Carlevarijs, inquadrate da preziosi stucchi del XVIII, mentre invece la Sala degli Specchi, detta anche Tiepolesca per i suoi affreschi e la sua complicata decorazione, è la sala principale del Palazzo Zenobio e, con i suoi specchi e decorazioni in bronzo è un esempio della vita veneziana del Settecento e dell’arte di quel periodo. torna su

MECHITAR

Isoletta venuta dall’Oriente galleggiando e rimasta incantata davanti a Venezia” Aldo Palazzeschi

Mechitar, figlio di Pietro e Shahristan, nacque il 17 febbraio 1676 a Sebaste (l’attuale Sivas) nella Piccola Armenia Storica. Sin da bambino Mechitar dimostrava il suo interesse verso la carriera religiosa, anche se suo padre aveva altri progetti per lui: infatti voleva avviarlo al commercio. Successivamente, nonostante le idee contrarie del padre, i genitori lo lasciarono entrare nel vicino monastero di Santa Croce, cambiando il suo nome di battesimo, Manug, in, appunto Mechitar, che significa “il consolatore”. Nel monastero però Mechitar ebbe solo delusioni, dato che i monaci più anziani tentavano in tutti i modi di scoraggiare la sua voglia di sapere; quindi tentò di lasciare il monastero appena possibile. Nel dicembre 1691 abbandonò il monastero di Santa Croce, alla volta di Etchmiadzin, accompagnando in qualità di discepolo il vescovo Michele. Ottenne però ancora una volta una delusione: anche il vescovo non apprezzò la sua sete di sapere. Allora si allontanò dal vescovo e scappò diretto all’eremo di Sevan dove non incontrò altro che nuove delusioni. Si spostò dunque nel monastero di Basen ma anche lì non gli andò meglio, e sempre più sconfitto, tornò a Sebaste. Nel 1696 fu ordinato sacerdote dal vescovo Kaparet e da quel giorno coltivò la speranza di diventare come un ponte tra la Chiesa di Roma e quella Armena. Occorreva però che altri coltivassero quel sogno insieme a lui: decise quindi di formare una congregazione di missionari. Mechitar cominciò così a predicare in modo da raccogliere seguaci e discepoli, e con i primi nove raccolti tornò a Costantinopoli, dove tenne nascosto il suo progetto. Mechitar e i suoi seguaci non erano però visti di buon occhio dai Turchi, che temevano che essi potessero nascondere influssi politici occidentali ai danni dell’Impero Ottomano e di questo infatti vennero accusati. Fortunatamente Mechitar e i suoi discepoli scamparono all’arresto, trovando rifugio presso l’Ambasciata di Francia, essendo indispensabile abbandonare il territorio turco. Decisero così di dirigersi verso la Morea, che era territorio della cattolica Repubblica Veneta, e di stabilirsi a Modone, dove successivamente nacque la congregazione. Dopo aver ricevuto l’autorizzazione del governo di Venezia, costruirono monastero e chiesa, che risultarono i monumenti più belli della città. Mechitar assunse così il titolo di Abate della Congregazione Mechitarista, così chiamata appunto dal nome del suo fondatore. A questo punto per Mechitar iniziò un periodo favorevole e, una volta sistemati i problemi finanziari della congregazione, potè finalmente dedicarsi a tempo pieno all’educazione dei suoi giovani. Sfortunatamente un nuovo evento nefasto stava per abbattersi sul monastero: presto i Turchi avrebbero dichiarato guerra a Venezia per toglierle il dominio sulla Morea. Undici confratelli, guidati da Mechitar, decisero di lasciare Modone per trasferirsi a Venezia, dove viveva una numerosa e influente colonia armena, precisamente nel monastero di Santa Croce, nel Sotoportego dei Armeni. A quell’epoca Mechitar aveva 39 anni e si affidava ciecamente all’aiuto della Madonna. Non restò però inattivo: continuò la sua funzione di Abate con la stessa determinazione di prima e cercò di ambientarsi il più possibile nella città che li aveva accolti. Senza dubbio, Venezia fu per Mechitar una vera rivelazione, che lo farà crescere sotto ogni aspetto. I confratelli riescono a stabilirsi in una casa sulla riva degli Schiavoni, ma i numerosi problemi economici non consentono alla Congregazione di svolgere il suo progetto: serviva denaro. Ma l’aiuto dei connazionali, dei nobili veneziani e del clero non si fa attendere. Purtroppo, il Senato aveva decretato che nessun’altra congregazione potesse insediarsi a Venezia e così, venne suggerito all’Abate di scegliere un altro luogo al di fuori della città. Nell’estate 1716 Mechitar visitò l’isola di San Lazzaro, all’epoca in uno stato di abbandono totale, e gli sembrò il luogo adatto per il suo monastero. Dunque il 26 agosto 1717 l’isola venne concessa alla Congregazione Mechitarista, ma solo l’8 settembre Mechitar ed i suoi monaci ne prendono possesso ufficialmente. Seguì un periodo di restauro delle abitazioni già esistenti, così da farle diventare dimora e monastero per i confratelli. Mechitar fece costruire un monastero e la chiesa che diventò sempre più splendida dopo i numerosi abbellimenti, nonostante gli scarsi mezzi finanziari. Inoltre Mechitar, sentendo il bisogno di educare, riuscì a procurarsi libri, e costruì quindi anche la biblioteca ed una tipografia. A partire dal 1730 un’altra innovazione di Mechitar fu quella del teatro, che non era mai stato ben visto dal clero tradizionale, dando così l’input a quello che diventerà il teatro moderno armeno. I lavori furono terminati verso il 1740, ma non furono mai finiti completamente, perché i progressi e i miglioramenti continueranno con i successori di Mechitar. Purtroppo il male cronico (itterizia) di Mechitar si acuì e l’Abate fu costretto a letto nel marzo 1749. Nonostante la malattia il monaco trovò la forza di dare ordini e sistemazioni per l’elezione del successore. La morte di Mechitar sopragiunse il 27 aprile dello stesso anno. Il progetto di Mechitar era quello di costruire un centro di scienza capace di tener viva la lingua, la letteratura, la tradizione e i costumi del popolo armeno e, in effetti, le possenti iniziative dell’Abate hanno fatto da molla allo slancio culturale di questo popolo disperso. torna su