PREMESSA |
In questo articolo scritto da Giona, pseudonimo di
Alessandro Cruciani, un collaboratore de Il Politecnico, appare
una riflessione sul ruolo del quadro, rivolta ad un pubblico di lettori in
generale non esperti né particolarmente preparati nei confronti del discorso
artistico. Il Politecnico con i suoi
articoli intendeva in effetti avviare un’iniziativa di acculturazione e di
sensibilizzazione non solo verso i problemi sociali e politici, ma anche verso
le manifestazioni artistiche, particolarmente da valorizzare in una società
che si avviava al progresso tecnologico. Il lettore viene condotto a
sperimentare la particolare sensazione che si prova quando ci si trova davanti
ad un’opera pittorica e viene invitato a riflettere sulla relazione che
intercorre tra un pittore e la sua opera.
CHE COS'È UN QUADRO?
Nel
campo delle arti figurative la gente si ritrova anche meno che in quello della
letteratura. Molto s'è fatto in Italia negli ultimi anni per avviare il
pubblico a una più esatta valutazione delle opere di arte: trattati di
estetica, manuali di storia dell'arte, riproduzioni. Ma molto spesso la gente
guarda smarrita, rinuncia a capire; o si affida a giudizi tradizionali, o si
disinteressa completamente. Accetta la propria cecità, rinuncia
volontariamente a una parte di verità e di felicità
[1]
. Ecco, un pittore è in un prato col sua cavalletto. Dipinge il
paesaggio che gli sta davanti: un mulino, un fiume, degli alberi. La gente che
passa guarda la tela, guarda il paesaggio, e si immagina che il pittore stia
copiando. Ma, in realtà, che cosa fa il pittore? Fa dei segni su di una tela
o vi pone dei colori. C'è un rapporto fra questi, quelli e quanto vede la sua
pupilla? C'è un ben strano rapporto. Anzitutto perché le linee, i colori, i
volumi, le forme insomma, non esistono in modo eterno e assoluto nella natura
obbiettiva delle cose, e nemmeno nella pupilla di chi le guarda, ma, mutevoli
come sono, si fissano soltanto per un processo di astrazione della nostra
sensibilità. Così come il geometra parla del punto, della retta, della linea
curva, come di astrazioni, egualmente noi tutti parliamo del confine che
separa lo spigolo di una casa dall'aria come di una linea,
del colore di un foglio di carta come di bianco,
e accettiamo quella apparente diminuzione di grandezza degli oggetti per
la lontananza che chiamiamo prospettiva. Ora, a quel modo stesso che una
parola e il simbolo fonica di una
cosa o di un oggetto, le linee, i colori, e i loro rapporti suggeriscono alle
nostre abitudini mentali certe rappresentazioni del mondo fisico. La nozione
dell'immagine umana, a esempio, è così profondamente radicata in noi che non
soltanto la ritroviamo nei musi degli animali (ai quali prestiamo fisionomie e
atteggiamenti umani), né soltanto nei profili dei monti o nei nomi attribuiti
a oggetti (quali la gamba del tavolino, il braccio della leva, la testa del
chiodo), ma persino nello scarabocchio o nel pupazzo infantile. Bastano
insomma quattro segni messi a caso in un cerchio o un accozzo di macchie
d'umido su una parete, per destare in noi l'esatta immagine di un viso umano
con una sua espressione indipendente dalla sua somiglianza con un vero viso.
La stessa cosa avviene ancora, se pur in minor grado, per le altre forme della
pittura. Il rapporto che intercorre quindi fra il segno di quel pittore che
abbiamo visto dipingere davanti a un paesaggio e il cosiddetto «reale» è
quello di una allusione, di un suggerimento. Si aggiunga che linee, forme e
colori possono suggerire non soltanto oggetti naturali, ma anche certe
sensazioni essenziali indipendenti dalla obiettività. Sono noti infatti gli
effetti eccitanti o deprimenti di determinati colori, della linea orizzontale
e di quella verticale, le risonanze psichiche delle oblique, delle
ripetizioni, delle convergenti e delle divergenti. È chiaro
insomma che il pittore non imita un bel niente, che se l'opera
dell'artista fosse quella dell'accurata riproduzione della natura, non solo
essa sarebbe resa superflua dalle riproduzioni meccaniche (fotografie a
colori, per esempio), ma resterebbe pur sempre un impossibile sforzo, perché
la realtà rimarrebbe egualmente alterata per il fatto di essere trasportata
dalle tre dimensioni dello spazio reale alle due della tela del quadra. E
allora il supremo ideale artistico sarebbe, che so, la scultura in cera
colorata, o le frutta di gesso dipinte.
La
critica dell’idea che l'arte sia imitazione della natura è stata compiuta
nel corso degli ultimi cento anni. E prima ancora che questo pregiudizio fosse
stato distrutto, lo era stato quello di un bello naturale, di una bellezza
obiettivamente esistente in natura. Analogamente è stato smontato il
pregiudizio del soggetto: non esistono cioè, soggetti di per sé degni o
superiori, ma solo opere di arte più o meno complesse, risultanti dalla
concorrenza di meno o più elementi, e con questi anche il pregiudizio del
progresso artistico è stato distrutto. Si ha progresso o, per meglio dire,
sviluppo storico di mezzi tecnici (a esempio, con la scoperta dei colori a
olio o con la riscoperta della prospettiva geometrica), si ha progresso o
sviluppo in quel modo che si ha storia, vale a dire come possibilità che la
coscienza di un artista si arricchisca dell'esperienza spirituale (cultura) di
artisti precedenti, non già nel senso di un progresso analogo a quello
scientifico, nel quale ogni studioso riprende il lavoro nel punto in cui è
stato lasciato dall'epoca e dagli studiosi che lo precedettero.
Ma
che cosa è dunque un quadro? E come mai, domanderanno i lettori, i pittori
che non imitano la natura, come voi dite, raffigurano pur sempre qualcosa che
si avvicina a somigliare Madonne e donne, giardini e marine, garofani e
crocefissioni? Indubbiamente esiste nell'artista (o meglio è esistita in
certe epoche e per certi artisti) la volontà di avvicinarsi, con i mezzi
della pittura, alla riproduzione della realtà naturale
[2]
.
Ma
appunto perché questa realtà naturale era irriproducibile, quello che
l'artista fissava era un'approssimazione, un suggerimento. Certe linee e certi
colori davano la stessa impressione della realtà naturale solo perché
l'occhio integrava i dati mancanti. Infatti la impressione che noi riceviamo
delle cose naturali è una sintesi di numerosi elementi. L'occhio dell'artista
analizza questi elementi e, a differenza di quello che può fare un obiettivo
fotografico, trasceglie quelli che più si confanno al proprio carattere.
E (qui ci si domanderà) che cosa vuol dire questo carattere?
Rispondiamo: l'artista è sempre, potenzialmente, nella condizione di
Adamo di fronte agli animali che passano davanti a lui. Deve nominarli, dar
loro un nome, che è quanto dire definirli
e farli esistenti. Così il nostro pittore, potenzialmente, può
immaginare di voler riprodurre tutte le
forme, le cose e gli aspetti del mondo, e tutti
i vari modi nei quali quelle forme e quegli oggetti si presentano. Ma noi
vediamo che in pratica l'artista non è indifferente rispetto a questi
oggetti, anzi, ne fa suoi solo alcuni, concentrerà il suo sguardo, a esempio,
solo su dei paesaggi o su certi paesaggi, su delle sacre composizioni invece
che su delle nature morte o viceversa. E non solo . sceglierà quindi in
preferenza certi piuttosto che certi altri soggetti, ma, di ognuno di questi,
alcuni determinati momenti e alcuni aspetti metterà in evidenza.
Prendiamo
l'esempio di un pittore che debba dipingere una mela posata su di un piatto.
Vi sarà quello la cui sensibilità (vale a dire: capacità di scelta) si
concentrerà tutta sul volume del frutto
[3]
. Lo interesseranno perciò i rapporti di chiaroscuro, tenderà a
dare l'effetto del rilievo. Un altro invece sentirà quel frutto come un
insieme di note di colori in mezzo ad altre note di colori, quali il piatto,
lo sfondo
[4]
, ecc. Anche l'ombra del frutto sarà colore per lui, e tenderà a
esprimerne non tanto la corposità volumetrica quando le vibrazioni luminose.
Un terzo, invece, sarà più interessato dal profilo disegnativo,
dall'arabesco curvilineo che determina il frutto con le linee del piatto,
ecc.; questo terzo tenderà a mettere in evidenza gli elementi lineari
piuttosto che quelli coloristici o volumetrici
[5]
.
Ma
questi non sono che tre esempi. In realtà l'artista non si limita a queste
forme di sensibilità monocordi, ma l'una complica con l'altra. Così vediamo,
a esempio, il senso della linea sposarsi quasi sempre (come nei nostri antichi
senesi, nei giapponesi e in numerosi pittori moderni) con quello del colore,
e, al contrario, il senso del volume provocare lo sfaldamento delle forme in
giochi della luce e dell'ombra, come in Leonardo o in Rembrandt
[6]
. Ora, quel che rende l'artista particolarmente sensibile a questo
piuttosto che a quell'altro elemento, non è, in ultima analisi, se non tutta la sua personalità, vale a dire l'insieme della sua natura e
della sua esperienza, dei suoi istinti e della sua formazione culturale, delle
sue passioni e delle sue aspirazioni.
Ma,
ci si obietterà, la réclame del
Ferro China Bisleri o la vignetta umoristica o il manifesto stradale sono pure
espressioni pittoriche e tuttavia non sono quasi sempre, né quasi sempre
pretendono essere, opere d'arte. E poi voi dite che fine dell'opera d'arte non
è l'imitazione della natura; ma allora come va che gli artisti danno
l'impressione di voler ricercare questa imitazione?
Per
rispondere bisogna ricordare una distinzione fondamentale che è quella stessa
che passa fra la parola considerata espressione
(poesia) e la parola considerata mezzo
comunicativo (nella prosa o nel discorso). La pittura (disegno, colore,
ecc.) può essere usata sia come espressione di un modo di concepire il mondo
(come abbiamo spiegato), sia invece come semplice comunicazione e suggerimento
convenzionale di certe forme. Un famoso critico ha espresso questa differenza
parlando nel primo caso di decorazione, nel
secondo di illustrazione. Elementi
decorativi sarebbero quelli puramente espressivi (linea, forma, colore,
volume, ecc.), elementi illustrativi tutti gli altri vale a dire quelli volti
solo a suggerire forme note a sottolineare espressioni di volti o di oggetti a
raccontare qualcosa. L'illustrazione ha appunto questo carattere narrativo,
descrittivo, si tratti di una presentazione di Maria al tempio, o di una scena
dei Tre Moschettieri
[7]
. Ricordate la frase «se potete scrivere potete disegnare?».
E’ verissima, ma equivale in realtà a questa: «come potete scrivere in
prosa, come potete raccontare, così potete illustrare». La vignetta in
questo senso equivale a una narrazione; in essa quel determinato intrico di
linee ha solo la funzione di suggerire vagamente un volto umano con una
determinata espressione, ed è contento il disegnatore della vignetta quando
ha ottenuto quel risultato, esattamente come in un articolo di cronaca le
parole hanno il compito di raccontare, simboli approssimativi, un avvenimento.
È evidente che l'elemento «puro» o decorativo, come abbiamo detto, si
mescolerà sempre con quello illustrativo. Ogni espressione pittorica o
disegnativa comporterà l'uno e l'altro. L'elemento illustrativo prevarrà
tutte le volte che prevarrà nell'esecutore la preoccupazione del soggetto,
dell'argomento, dell'efficacia del suo discorso, in una parola, tutte le volte
che vorrà commuovere o sbalordire o persuadere. In molte opere dell'antica
pittura queste preoccupazioni esistono, l'artista vuol commuovere sulla sorte
di Cristo crocefisso o ammonire sulla caducità della potenza di Oloferne o
atterrire con la visione dei Giudizi Finali o solleticare con quella di
femminili bellezze. Ma noi sappiamo che il suo valore di artista consisterà
proprio nell'essere andato al di là di queste intenzioni pratiche e nell'aver
portato in ogni centimetro della sua opera le dominanti della sua visione che
sorgono dal suo profondo. Ecco perché noi spesso siamo soliti sentire più
nitidamente la voce di un artista in un «particolare» piuttosto che
nell'insieme; quello che si usa chiamare «lo stile» si rivela leggibile,
come a un grafologo una scrittura, nei dettagli, anche se l'insieme del
discorso (vale a dire del quadro) è meno immediato e sincero
[8]
.
Allora,
si dirà: l'illustrazione esclude l'arte? Rispondiamo: in un certo senso sì,
perché l'illustrazione è sempre strumentale, cioè subordinata ad altri fini
che se stessa, come il manifesto o il foglietto pubblicitario. Ma in un altro
senso no, perché il temperamento di un artista può erompere anche dalle
formule illustrative. È il caso di illustratori come Gavarni,
[9]
Hogarth
[10]
, Doré
[11]
, ecc. E, come è noto, grandi artisti si sono espressi sovente in
opere di carattere illustrativo (Dürer
[12]
, Rembrandt, Picasso).
Alla confusione fra elementi decorativi ed elementi illustrativi,
prestava alimento, nei secoli passati, il pregiudizio della imitazione della
natura, ma come questo pregiudizio è andato scomparendo con l'affermarsi
dell'estetica moderna, così in pittura (dopo un periodo che potremo
chiamare quello della crisi dell'impressionismo nel quale l'artista non sapeva
più distinguere fra gli elementi decorativi e quelli illustrativi: pensiamo
ai nostri Morelli
[13]
o Michetti
[14]
o Previati
[15]
) si sono venute sviluppando alcune tendenze di arte moderna che
hanno inteso espungere il maggior numero possibile di elementi illustrativi
(cubismo).
Diminuiva così l'importanza del soggetto, il «contenuto» del quadro,
e l'espressione artistica tendeva sempre più a rifiutare suggerimenti
psicologici, o comunque contenutistici, per diventare puro rapporto di forme,
di colori, di volumi. Si spiega così la fortuna della natura morta, del
generico nuda, della astratta composizione nella pittura moderna. I soggetti
esistevano sempre meno per l'artista moderno, divenivano sempre più
pretesti a giochi di forme e di colori, come è stato per il cubismo e come è
attualmente per le scuole dei cosiddetti «astrattisti» o «concretisti», i
quali appunto, per espungere ogni suggerimento illustrativo, riducono la
loro arte a pure combinazioni di figure geometriche. Si spiega così che la
domanda dell'ignaro: «che cosa significa»? di fronte a molta pittura
moderna, debba necessariamente rimanere senza risposta; molta della pittura
moderna non significa nulla, nel
senso che non racconta nulla, nel senso che è al massimo priva di elementi
illustrativi, e deve essere sentita per i suoi puri valori formali, con lo
stesso occhio e gusto col quale noi consideriamo un particolare di antica
pittura.
Ma il divorzio fra illustrazione e decorazione, fra astrazione
formale e realismo, fra narrazione e canto, non è affatto definitivo. Non
solo un'intera parte della pittura contemporanea, vale a dire quella
surrealista, punta proprio sull'elemento illustrativo per raccontare
le sue macabre e morbose favole, ma gli artisti moderni si sono accorti
di come l'astratta purezza formale che essi perseguivano finisse col diventare
sterilità, e come il quadro si riducesse ad arabeschi o a tappeto, e come
la intrusione della «non pittura», vale a dire degli elementi illustrativi,
fosse linfa necessaria, termine dialettico e indispensabile antitesi della
loro «pittura», a quel modo stesso che passione morale, sentimento politico,
rigore logico o timor religioso sono, senza essere poesia, il terreno dal
quale la poesia può nascere; non avendo essa né la pittura radici in aria
come si dice sia di certe orchidee dei mari del Sud.
Giona
(n.
22, 23 febbraio 1946)
[1]
Gli artisti infatti trovano
nell’arte una verità nascosta del mondo.
[2]
Questo ideale fu perseguito dai pittori “naturalisti”,
operanti in Francia nella seconda metà del XIX secolo.
[3]
Dipingevano secondo questa
tecnica pittori come Giotto e Carrà.
[4]
Così lavorava Paul Cezanne
(1839-1906).
[5]
Dipingeva
secondo questa tecnica Matisse (1869-1954).
[6]
Pittore e incisore olandese
(1606-1669), dotato di una grandissima padronanza tecnica e di una vasta
cultura figurativa.
[7]
Opera
di Rembrandt.
[8]
Thomas Mann disse: “è il
particolare che illumina la scena”.
[9]
Pseud. di Sulpice-Guillaume
Chevalier (1804 –1866), fu disegnatore e incisore francese. Si affermò
come collaboratore di importanti periodici realizzando disegni, incisioni e
acquerelli di carattere umoristico.
[10]
W. Hogarth (1697 –1774) fu
pittore ed incisore britannico. I suoi ritratti e le sue incisioni
costituiscono una caustica e originale rappresentazione della vita del suo
tempo.
[11]
G. Doré (1832 – 1883) fu
incisore,pittore e scultore francese. Autore di celebri illustrazioni di grandi opere letterarie, come La Divina Commedia di Dante.
[12] A. Dürer (1471-1528) fu pittore e grafico tedesco.
[13]
D. Morelli (1826 –1901) fu
un pittore napoletano che trattò temi storici e religiosi con accesi
toni drammatici e intenso verismo.
[14]
F. Paolo Michetti (1851-1929)
fu pittore verista che amò il dramma esasperato e l’effetto scenografico
di gusto decadente.
[15]
Gaetano Previati (1852 –
1920) aderì al movimento pittorico del divisionismo e produsse opere dal
contenuto mistico-simbolico.