PREMESSA

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In questo articolo Vittorini risponde alle numerose lettere di giovani lettori, che appena dopo la fine della guerra,  pentiti del loro passato di fascisti, chiedono a lui conforto, in quanto sentono il peso delle loro scelte di un tempo. Vittorini non solo cerca di togliere loro il senso di colpa che li opprime, anche confessando pubblicamente la sua stessa giovanile esperienza fascista; ma affronta anche un impegnativo discorso sul fascismo, distinguendone la forma (il fascismo “aggettivo”) dalla sostanza (il fascismo “sostantivo”): il primo rappresenterebbe la maschera del fascismo, mentre il secondo sarebbe, a suo parere, il volto vero che si nascondeva sotto la maschera, volto che Vittorini identifica col capitalismo. Secondo l’autore questi due piani non vanno confusi, e così ritiene di poter dire che chi ha aderito al fascismo lo ha fatto spesso  ingenuamente, ingannato da messaggi ambigui, che facevano credere che quel movimento guidasse una battaglia anticapitalistica e antiborghese, e non riuscendo a vedere in realtà che il “fascismo aggettivo” era in realtà “l’estensione della dittatuta capitalistica al campo politico”, ossia l’espressione politica del “fascismo sostantivo”.
Il discorso di Vittorini è pertanto un discorso politico molto duro contro il capitalismo, qui rappresentato dai nomi dei padroni delle grandi fabbriche del nord (Donegani, Valletta, Pirelli…).

 

FASCISTI I GIOVANI?

Lettere che mi scrivono

Ricevo spesso lettere di giovani che sembrano ancora oggi confusi o disperati, o almeno umiliati, di essere stati fascisti. Hanno ventiquattro, venticinque o anche solo venti anni, uno mi dice di averne diciotto, e sono di ogni classe sociale, l'operaia non esclusa, sebbene per la maggior parte dichiarino di studiare all'Università o di essersi appena laureati. Per metà ritornano da campi di internamento in Germania o da campi di prigionia; dell'altra metà c'è qualcuno che è stato soldato nell'esercito di Graziani [1] , o nella X Mas [2] non manca chi ha fatto il partigiano e si sente tuttavia ancora in colpa per essere stato «fino a un certo momento» fascista. Ognuno ha la sua data «fino alla quale» è stato «fascista»: fino a gennaio '43, fino a febbraio '43, fino a marzo '43, e fino al 25 luglio o l'8 settembre '43 [3] , fino a un mese o l'altro del '44, uno addirittura «fino a ieri mattina», mi dice, scrivendomi il 5 novembre ultimo scorso. Ma in tutti è lo stesso motivo per cui mi scrivono: la stessa confusione, la stessa disperazione, lo stesso sentimento d'inferiorità e la stessa speranza di liberarsene; tutti dicono le stesse cose; e tutti in egual modo colpiscono per l'onestà d'animo che rivelano [4] .

Perché si rivolgono a me? Scrivono a proposito di qualche articolo del  «Politecnico», ma sempre vanno oltre l'occasione immediata, si richiamano ai miei libri, e mostrano che da un pezza cercavano qualcuno a cui rivolgersi». Le loro lettere cominciarono ad arrivare dopo il primo numero del «Politecnico»: furono due dopo quel primo numero, io volevo subito rispondere, ma le lettere si moltiplicavano, diventavano decine, sono diventate centinaia, e ora sono contento di non aver risposta subito perché, grazie a quello che ho imparato leggendole, ora posso certo rispondere meglio. Siano rimasti «fascisti» fino all'ultimo, o abbiano avuto qualche anno di antifascismo attivo nella lotta clandestina, in tutti questi giovani è la cosa più notevole che ognuno accusi se stesso di essere stato «non‑uomo»: aver potuto esserlo... Pensano di essere stati «non‑uomini [5] », pensano di non poter più essere veramente uomini dopo essere stati una volta «non‑uomini», e cercano una smentita, vogliono una speranza. Da chi averla? Sono difficili ad aprirsi. Il bisogno di buttarsi allo sbaraglio, in loro, ma è anche bisogno di essere compresi, considerati. E che essi si rivolgano a me non dimostra niente di me. Mostra solo come sia grande la voglia loro di trovare qualcuno a cui rivolgersi.

 

 Oggi, la loro crisi

 

Ora io rispondo a tutti insieme. A bella posta non distinguo tra la crisi di chi dice di essere stato «non-uomo» (cioè «fascista») fino al gennaio o luglio '43, e la crisi di chi dice di esserlo stato fino a un mese fa. Possono esserci differenze tra gli uni e gli altri. Certo ci sono. Ma spiritualmente non contano se non hanno evitato la crisi, o non hanno portato a superarla. Di che cosa è, in effetti, la loro crisi? Fosse semplicemente di «colpevoli» sarebbe presto risolta con l'autoriconoscimento della colpa. Ma è di persone che «si credono colpevoli» senza propriamente esserlo, e non può risolverla, di loro, che chi riesce a convincersi di non esser colpevole. Se molti giovani hanno oggi la coscienza tranquilla è perché si sono convinti di non aver commesso nessuna colpa, e non perché pensino di aver scontato in qualche modo (con la partecipazione alla lotta clandestina) la parte avuta (attiva o passiva) nel fascismo. Non dobbiamo dunque dire a ogni giovane che egli ha il diritto (in quanto giovane, e cioè in quanto cresciuto sotto il fascismo) a convincersi di non esser colpevole? Non dobbiamo anzi aiutare ogni giovane a convincersi di non esser colpevole? E l'unico modo per aiutarli a convincersi di non esser colpevoli è di mostrar loro quello che in realtà sono stati: strumenti sì del fascismo, ciechi dinanzi a quello che il fascismo era, vittime di quello che sembrava, deboli, non forti, ma non fascisti.

   

Che cos'è il fascismo?

 

Qui dobbiamo anche dire che cosa sia propriamente il fascismo, che cosa sia stato in Italia, e che cosa abbia potuto sembrare. La propaganda reazionaria di oggi, specie l'anglosassone e non esclusa la vaticana, cerca di farlo passare per un fenomeno di aberrazione morale [6] . Così può condannarlo e colpirlo solo nel suo aspetto esecutivo: nella dittatura materiale, nelle persecuzioni poliziesche, nelle efferatezze repressive, nella forma, nel metodo. O può colpirlo in tutto il popolo che ha avuto l'«aberrazione» di accettare le sue forme, il suo metodo. Ma non lo colpisce né la condanna nella sua causa o nella sua natura intrinseca. Questa causa e questa natura non sono italiane o tedesche; sono anche anglosassoni, anche vaticane, di tutto il mondo, e la propaganda reazionaria di oggi non può condannare una causa e una natura delle quali essa stessa è complice; condanna gli esecutori materiali e sottrae i veri responsabili ad ogni possibilità di esser colpiti; condanna l'aggettivo e mette al sicuro il sostantivo.

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Il fascismo come sostantivo

 

Che cos'è il fascismo come sostantivo? Possiamo ammettere che sia ancora aberrazione. Ma è aberrazione politico‑economica, non semplicemente morale. Moralmente potrebbe prendere persino aspetti dignitosi e venerandi: parlamentari, pontifici; aspetti inglesi, aspetti americani e aspetti vaticani. E’ la sua sostanza politico‑economica che conta. E questa sua sostanza è il capitalismo, giunto al suo stadio massimo di sviluppo industriale e finanziario, che attacca per difendersi e conservarsi. Esso vede un pericolo mortale nello sviluppo contemporaneamente raggiunto dal proletariato. Vede che lo sviluppo del proletariato è stato favorito, sul campo politico, dalla democrazia. Vuole arrestare questo sviluppo, fermare la democrazia politica che favorisce questo sviluppo, ed estende la sua dittatura economica al campo politico. Che cos'è, dunque, come sostantivo, il fascismo? L'ho detto: estensione della dittatura capitalista al campo politico. Anche il capitalismo ha avuto bisogno, per svilupparsi, della libertà politica. Oggi che ha raggiunto lo stadio estremo del suo sviluppo, il capitalismo non ha più bisogno della libertà politica. La tollera come una specie di PREZZO che paghi in cambio del diritto di esercitare la sua dittatura economica. Ma questo PREZZO diventa sempre più caro, diventa pericoloso, minaccia di eliminare la sua dittatura di classe, ed ecco il capitalismo tentare di non pagarlo più. Ogni tentativo fatto dal capitalismo di non pagarlo più, o di ridurlo, limitarlo, portarlo su un conto a credito, trasformarlo in carta straccia, eccetera, è fascismo. Ogni tentativo, dico; quello demagogico e totalitario come è stato l'italo‑tedesco, quello subdolo e complesso che mostra saltuariamente la faccia in Inghilterra o in America, quello anche più subdolo e complesso che dà il tono codino [7] a certe prediche non domenicali dell'«Osservatore Romano [8] » e infiniti altri; quelli che sono stati e quelli che saranno.

   

Il  «fascismo» che fu dei giovani

 

Ma i giovani che mi scrivono potevano sapere che fosse questo il «fascismo»? Ancora oggi sembra che non lo sappiano. Essi si fanno una colpa di essere stati «fascisti» in senso di «aberrazione morale», cioè nel senso del fascismo‑aggettivo, e non nel senso del fascismo‑sostantivo. Non hanno mai visto la faccia del fascismo‑sostantivo. Difficilmente avrebbero potuto vederla. Il fascismo italiano ha sempre avuto cura di nascondersela, e se nei fatti si è a poco a poco tradito, lo stesso era difficile che dei giovani tirati su per non capire potessero capire. Chi ha fatto qualcosa perché capissero? L'antifascismo era all'estero, e la sua voce giungeva in Italia come tutto il resto che giungeva in Italia dall'estero: deformato, reso inattuale e ridicolo. Pure i nostri giovani erano generosi; non erano reazionari: non erano per Donegani [9] , Agnelli [10] , ecc., ma contro Donegani, Agnelli, ecc.; erano per un progresso, per una «migliore giustizia sociale», per l'eliminazione del latifondo e la socializzazione delle grandi imprese. II fascismo disse loro di essere appunto questo: progresso, giustizia sociale, eliminazione del latifondo, ecc. Si presentò loro come anti‑Donegani, e nessuno disse loro ch'era invece l'espediente estremo dei Donegani.

Per disgrazia esistevano in Italia forze più reazionarie del fascismo: residui feudali o codini dei vecchi partiti di destra che il fascismo, con la sua impostazione moderna di regime pro‑monopoli [11] , aveva nettamente superato; essi resistevano; fu facile far sembrare che fosse in essi tutto l'antifascismo; e i giovani si persuasero che il fascismo fosse in lotta contro ogni sorta di reazionari per l'attuazione di un programma socialmente rivoluzionario. Basta scorrere i giornali giovanili, specie del periodo fra il '31 e il '35, per averne la prova. Gli slogans demagogici del fascismo diventano, su quei fogli, argomento di dibattito entusiasta e motivo di attacco concreto al capitalismo, alla borghesia, ai rapporti di produzione della società borghese. I giovani cantano su uno sviluppo del fascismo in senso collettivista [12] . Contano anche su un ravvicinamento dell'Italia all'U.R.S.S. E se poi non avviene niente che li confermi in quello che sperano, essi danno la colpa alla «reazione insinuatasi», dicono, «nel partito fascista».

Non sono frottole che racconto. Qui io parlo di un'esperienza che è anche mia. E io sono nato nel 1908, non nel '20 o nel '22. Avevo già quattordici anni l'anno della marcia su Roma [13] . Avevo sentito parlare, in qualche modo, di come era nato il fascismo. Eppure (dopo una prima diffidenza dovuta solo al fatto di essere stato iscritto d'ufficio, come studente di scuola media, nelle organizzazioni giovanili fasciste) anch'io «mi agitai» nel senso che ho descritto qui sopra, su fogli fascisti più o meno di provincia. Debbo dirlo a questi ragazzi che mi scrivono. Anch'io sono stato uno di loro. Sono stato «non acuto» e «non forte». Non‑uomo? Sono stato «dei deboli». Ma quale giovane che non sia mai stato, qui in Italia, «dei deboli» può essere oggi dei «veramente forti»? Per me personalmente la cecità dinanzi al fascismo finì presto. L'aggressione all'Etiopia [14] , che riconciliò col fascismo tutti i residui prefascisti della reazione italiana, mi mise dentro i primi dubbi. Era questo che sapeva fare il fascismo? Ripetere, nel secolo XX, imprese da epoca mercantilista? L'avvicinamento alla Germania di Hitler e l'appoggio dato a Franco in Spagna [15] mi restituirono del tutto la capacità di capire. L'autunno del '36 osai scrivere per un settimanale che il «fascismo» avrebbe dovuto dare il suo appoggio al governo di Madrid, non a Franco. E il settimanale osò pubblicare (pur tagliando qualche frase). Non ero solo nella mia evoluzione. Così venni espulso dal partito fascista, e mi avviai a pensare come oggi penso. Potrei per questo rimproverare i più giovani di me di non aver seguito la mia stessa evoluzione, e di non aver rotto col fascismo alle sue «prime prove»? Io ero nato nel 1908; avevo visto, in qualche modo, come si fosse «formato» il fascismo; avevo in me una diffidenza di «prima»; e leggevo molto... Avevo inoltre simpatie e antipatie istintive; simpatia per gli americani e i russi, antipatia per la Germania di Hitler, la Chiesa spagnola e i generali carlisti [16] . Sarei stato capace di arrivare a conoscere il SOSTANTIVO fascista senza la mia fortunata antipatia per gli AGGETTIVI di cui si adornavano i suoi nuovi complici?

 

 Da sempre, contro il «sostantivo»

 

So di molti giovani che si staccarono dal fascismo durante la guerra civile spagnola. Ma i giovani che, in numero molta più grande, rimasero legati al fascismo malgrado quella guerra e malgrado l’Anschluss, [17] malgrado Monaco [18] , malgrado il '39 o il '40, o il '41, o il '42; gli stessi giovani, ormai in minoranza, che si trascinarono dietro al fascismo anche malgrado l'occupazione tedesca dell'Italia; questi ragazzi che mi scrivono, e tutti i ragazzi pari loro che vorrebbero «spiegarsi con qualcuno», non rimasero legati al fascismo in un modo diverso dal modo in cui erano stati legati al fascismo, e io stesso ero stato legato al fascismo, prima dell'intervento fascista in favore della reazione spagnola. Io sono sicuro che il modo continuò ad essere per loro (i «deboli» dentro all'inganno, semplici militanti operai o semplici militanti studenti, semplici ragazzi in buona fede, pronti a pagare di persona, e non quelli che c'erano per far carriera) più o meno lo stesso ch'era stato per me fino al '36: un modo sciocco se vogliamo, ma non reazionario; un modo anti‑Donegani, non pro‑Donegani, e modo anti‑inglese, anti-americano, anti-mezzomondo per quello di doneganesco e non altro si lasciava vedere loro di tutto questo mondo. Non dobbiamo dimenticare che la propaganda fascista è stata tale da coltivare nei giovani l'illusione di essere rivoluzionari ad esser fascisti. E più il fascismo si è avvicinato alla sconfitta più la propaganda fascista è stata tale. Fino all'ultimo i giovani hanno potuto credere che il fascismo fosse in lotta contro ogni sorta di reazionari per l'attuazione di un programma socialmente rivoluzionario. Posso esprimermi con un paradosso? E’ stato un modo antifascista il loro modo di esser «fascisti».

Questo, ora, io credo che si debba dirlo a ragazzi come quelli che mi scrivono oppressi da un sentimento d'inferiorità per essere stati «non‑uomini», «fascisti». Potremmo lasciarli al loro sentimento d'inferiorità? Sarebbe lasciare che non diventino mai «uomini». E che si corrompano; mentre, in effetti, sono puri.  voglio dirlo loro. Voi non siete mai stati fascisti. Il vostro modo di esserlo, fino a qualunque data le siate stati, è stata un modo «antifascista». Siete stati anche «deboli»? Ma appunto perché siete stati tra i «deboli», e conoscete che cosa sia essere «deboli», voi potete essere oggi dei più forti tra i «forti». Non sempre è 1a più vera forma quella di chi è stato «sempre forte». Oggi che il fascismo‑aggettivo è finito importa essere «forti» contro il fascismo‑sostantivo che mai vuol finire; e questo conoscere, questo combattere. Voi non siete mai stati fascisti nel senso del sostantivo; anzi credevate di combattere, nel vostro combattimento «fascista», proprio il fascismo sostantivo. E non dovreste combattere da antifascisti quello che pensavate di combattere già nel vostro combattimento «fascista»? Non vi sono più possibilità di equivoci, oggi. Il fascismo è lì: dietro ai Donegani, gli Agnelli, i Marinotti, e solo chi è per loro in qualunque modo e con qualunque nuovo aggettivo sia per loro, è fascista. Voi, siete per loro? Non lo siete mai stati. Voi avete dunque lo stesso diritto dei più vecchi antifascisti ad essere, oggi, antifasciste. Avete diritto a essere «uomini».

 

                                                                                                                   ELIO V ITTORINI

 

 (n. 15, 5 gennaio 1946)

 


[1] Generale fascista, fedele a Mussolini anche durante la Repubblica Sociale Italiana (1943-45), quando organizzò l’esercito che, con l’appoggio dei tedeschi, combattè le formazioni partigiane.

[2] Formazione militare fascista.

[3] Alcune date fanno riferimento a momenti storicamente significativi della storia del fascismo. In particolare nel gennaio del ’43  c’era stata la Conferenza di Casablanca, nella quale U.S.A. e Gran Bretagna avevano richiesto la resa incondizionata di Germania, Italia e Giappone; nel febbraio c’era stata la capitolazione tedesca a Stalingrado, nel marzo c’erano stati i grandi scioperi operai nell’Italia settentrionale contro la guerra e il fascismo; il 25 luglio c’era stata la caduta del governo fascista e l’arresto di Mussolini; l’8 settembre è la data dell’armistizio tra l’Italia e le forze alleate, con l’arrivo delle forze angloamericane in Italia.

[4] Vittorini ritrova in queste lettere la stessa “onestà intellettuale” che ritrovava in se stesso, pensando al suo passato fascista. Egli, come dichiarerà più avanti nell’articolo, prese le distanze dal fascismo solo nel 1936, in occasione della guerra di Spagna.

[5] L’espressione richiama il titolo del romanzo di Vittorini (pubblicato solo un anno prima) Uomini e no, in cui vengono raccontati, tra l’altro, gli scontri tra partigiani e fascisti durante la resistenza. Il titolo del romanzo, in realtà, non indica una distinzione tra chi è in assoluto “uomo” e chi non lo è; ma vuol esprimere l’idea che ciascuno di noi ha dentro di sé la spinta ad essere sia “uomo” sia “non-uomo”. Diventare “uomo” è quindi un percorso individuale di consapevolezze che può avere anche delle (ri)cadute nella condizione di “non-uomo”.

[6] Aberrazione, cioè “deviazione”. La condanna del fascismo solo dal punto di vista “morale” era, secondo Vittorini ed i partiti di sinistra, un pericoloso atteggiamento “reazionario”, in quanto non permetteva di riconoscervi in realtà la matrice intrinseca di regime politico totalitario, antisocialista e antidemocratico.

[7] Il termine “codino” sta per “reazionario”, e viene dall’uso dei monarchici francesi di portare con ostentazione il codino, cioè capelli annodati sulla nuca, durante la rivoluzione francese.

[8] Giornale ufficiale del Vaticano. La polemica di Vittorini non è rivolta contro la Chiesa o i cattolici, ma contro le connivenze che il Vaticano, nelle sue alte sfere, ebbe con il fascismo. E’ anche presente una condanna per l’attività di propaganda del giornale vaticano tesa a screditare, nei fatti, le attività dei partiti di sinistra che, negli anni del dopoguerra e sull’onda dell’indignazione contro il fascismo, cercavano di avviare dei processi di cambiamento radicale nella società italiana.

[9] Guido Donegani (1877-1947) industriale, presidente della Montecatini, una delle più grandi aziende della prima metà del ‘900. Aderì al fascismo fin dalle origini del movimento.

[10] Giovanni Agnelli (1866-1945) fondò la F.I.A.T. (1899) e la guidò ad essere la maggior impresa italiana.

[11] Sul piano della politica economica il fascismo si era presentato come innovatore rispetto a certi modelli antiquati di economia borghese.

[12] Il “collettivismo”, attuato in Unione Sovietica a partire dal 1928, è un sistema economico fondato sull’attribuzione alla collettività delle proprietà e dell’amministrazione dei beni di produzione.

[13] La “marcia su Roma” (28 ottobre 1922) fu la mobilitazione delle squadre paramilitari fasciste contro il governo dell’epoca per imporre un governo di Mussolini. I poteri dello stato non contrastarono di fatto questa marcia, tanto che il re Vittorio Emanuele III, fatto dimettere il presidente del Consiglio L. Facta, affidò proprio a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo.

[14] Nel 1935, nonostante la condanna della Società delle Nazioni, l’Italia di Mussolini invase l’Etiopia.

[15] F. Franco (1892-1975) fu un generale spagnolo che promosse la rivolta dei militari contro la repubblica spagnola, regolarmente costitutasi dopo libere elezioni. Iniziò così nel paese la guerra civile che portò alla dittatura franchista nel paese. L’azione di Franco fu appoggiata dai governi di Hitler e Mussolini; mentre in difesa dei repubblicani spagnoli erano accorsi volontari da tutte le parti del mondo.

[16] Erano i seguaci del pretendente al trono di Spagna, don Carlos, il quale nel 1833 provocò una guerra civile contro la nuova regina Isabella II. Il termine è qui usato per indicare “i monarchici” che appoggiarono l’iniziativa antirepubblicana di F. Franco.

[17] In italiano significa ‘annessione’ e si riferisce alla forzata annessione dell’Austria alla Germania nazista (13/3/1938), quando ad alcuni apparvero chiare le intenzioni di Hitler.

[18] In riferimento alla Conferenza e al Patto di Monaco (1938), con cui Hitler, Mussolini, Chamberlain (capo del governo britannico) e Daladier (capo del governo francese) accettarono, nella speranza di salvare la pace mondiale e contenere in seguito le tendenze espansionistiche tedesche, che fossero ceduti ad Hitler alcuni territori della Cecoslovacchia.