PREMESSA |
Il tema del divorzio diede luogo in Italia a lunghe battaglie ideologiche
anche negli anni seguenti: solo nel 1970 il divorzio venne introdotto nel
nostro paese da una legge, poi confermata da un referendum popolare nel 1974.
Riportiamo qui sia l’articolo di Jemolo sia la risposta (in caratteri
corsivi) di Vittorini
URGE
IL DIVORZIO IN ITALIA?
Se ben vedo, la famiglia italiana è tra le istituzioni più robuste del
nostro popolo. L'amore per i figli è quasi senza eccezioni. Truci
delinquenti, loschi truffatori, donne senza pudore, si riscattano fin dove è
possibile con la tenerezza, con lo spirito di sacrificio, verso i figlioli. Mi
pare che questo senso della famiglia sia andato sempre più rafforzandosi nel
mezzo secolo che mi è dato rievocare; non mi sembra che papà e mamme fossero
tutti così teneri come sono oggi, quando ero bambino; un tempo, molti uomini
si sarebbero vergognati di dover confessare di non aver mai fatto uno strappo
alla fedeltà coniugale, mentre oggi i più se ne vantano (persino quando non
è vero); la «mantenuta», la «famiglia della mano sinistra», nella
borghesia di quarant'anni or sono erano istituzioni in onore; oggi non se ne
scorgono quasi più tracce.
Non soltanto la famiglia italiana è forte, ma lo è ad un punto tale, che
tutte le altre istituzioni ne restano al confronto indebolite; è come una
capsula di acciaio che debba alla sua volta essere incapsulata entro una
consecutiva serie d'involucri di materiale ben più fragile; l'omogeneità del
tutto non ne guadagna. L'italiano può essere buon impiegato, buon ufficiale,
buon politicante, buon cittadino, fino al punto in cui la famiglia non soffra
della sua dedizione ad un altro ordine di doveri: quando si dà quel
contrasto, pochissimi sono in grado di sacrificare la famiglia, e agli occhi
dei più passano, per tale fatto, in rinomanza di fanatici o di eroi. Questo
lascia anche trapelare che quell'organismo familiare è robusto, ma non
perfetto; vi ha troppo posto l'istinto, e troppo scarso dominio un alto
anelito morale. Quante madri, onestissime donne, non sono orgogliose delle
prime non caste prodezze amatorie dei loro figli, e spietate per le vittime,
se ve ne fossero!
Mi parrebbe quindi fuor di luogo pensare al divorzio in funzione di un
rafforzamento dell'istituto familiare italiano, che di rafforzamento non ha
alcun bisogno, ma, se mai, di un assoggettamento degl'istinti affettivi ad una
legge morale.
Il problema del divorzio non interessa che una minoranza di persone: almeno
come problema diretto, non ideologico, ma che tocchi la vicenda della propria
vita. In basso, tra i più miseri, i problemi di stato civile interessano
poco. In certe zone di miseria nera s'incontrano strane famiglie, costituite
intorno ad una coppia, e che accolgono figli nati da questa unione, figli che
l'uomo e la donna ebbero da altri incontri, talora bambini che sono il relitto
lasciato al compagno od alla compagna da una donna o da un uomo di una
precedente convivenza. Anche quando lo stato civile consentirebbe di
regolarizzare certe unioni, nessuno vi pensa. Fuori di questi strati infimi,
solo in casi sporadici l'indissolubilità del matrimonio gronda veramente di
lacrime.
Certamente, ciascuno ha nella cerchia delle sue relazioni almeno un esempio
di famiglia la cui vita è avvelenata, talvolta inceppato l'avvenire dei
figli, dalla impossibilità di apporre il suggello legale alla famiglia
stessa, per ciò che lui o lei hanno un marito od una moglie, da cui sono
separati da un quarto di secolo o più, e che spesso alla loro volta hanno
dato vita ad un focolare non consacrato. Non mancano casi pietosi e degni di
ogni considerazione. Ma non formano massa.
Per noi cattolici non esiste una questione del divorzio. Ma comprendo
benissimo che si possa impostarla così: «una volta ammesso che nella vita
dello Stato non possa una maggioranza religiosa imporre alla totalità dei
cittadini neppure le fondamentali tra le regole di vita che sono ad essa
peculiari; che pertanto la questione del divorzio non possa essere impostata
che su argomenti extra-confessionali: cosa deve dirsi alle consuete ragioni
antidivorziste recate: che l'istituzione del divorzio inciti i coniugi, specie
nei primi anni, a non sopportare, a non tollerare, a non compiere lo sforzo
verso quei necessari adattamenti su cui si fondano le nuove famiglie; che,
ammesso il divorzio anche per sole cause gravissime, la ragione sia poi tratta
ad ammetterlo pure per ragioni futili; che tra Paesi della stessa cultura e
dello stesso grado di civiltà quelli divorzisti assumano un livello morale
più basso degli altri?».
Non credo facile dare risposta sicura.
Ma se anche si dovesse riconoscere che questi classici argomenti
antidivorzisti non abbiano salda consistenza penserei sempre che nell'ordine
delle questioni che l'Italia deve affrontare, quella del divorzio non possa
avere che un posto infimo; e che sarebbe estremamente impolitico ed improvvido
impostarla oggi.
In politica, inutile andare a ricercare se i partiti che si hanno di fronte
a ragione od a torto abbiano assunto certe posizioni. Potrà anche essere
esatto che i partiti che hanno accettato il canone per cui lo Stato non può
imporre ai cittadini l'osservanza di alcun precetto religioso, pecchino
d'illogicità allorché fanno una eccezione per la indissolubilità del
matrimonio. Questo non toglie che la più gran parte dei cattolici si
sentirebbe ferita da un progetto sul divorzio, che si renderebbe impossibile
quella collaborazione tra democrazia cristiana e partiti di sinistra, che è
invece possibile, e può essere utile e feconda, a patto di accantonare i
problemi confessionali, quello del divorzio incluso.
Sarebbe un grande apporto alla reazione, che spera proprio su un qualche
fatto nuovo atto ad impedire la collaborazione dei cattolici con tutti i
partiti decisi ad opporsi ad ogni ritorno al passato.
A. C. JEMOLO
Arturo Carlo Jemolo, nato nel
1891, professore di diritto ecclesiastico all'Università di Roma, è uno dei
nostri più valorosi giureconsulti. Studioso di tutti i problemi riguardanti i
rapporti fra lo Stato e la Chiesa, è autore di importanti opere su: Stato
e Chiesa negli scrittori politici italiani del '600 e del '700; su: Crispi
[1]
; sul: Giansenismo
[2]
in Italia. La sua profonda
dottrina in materia di diritto ecclesiastico lo rende particolarmente indicato
a esprimere il parere dei cattolici sul problema del divorzio. Ma i lettori
avevano chiesto quale fosse, su questo problema, il parere personale di «Vittorini».
In senso assoluto, e in linea ideologica, io non posso non essere
personalmente per il divorzio
[3]
. Né penso solo ai casi che grondano, come Jemolo dice, di
lagrime.
Penso
anche ai casi non propri della nostra borghesia, i casi innumerevoli di quegli
«strati infimi», di quelle «zone di miseria nera» ai quali Jemolo ha
accennato, poiché ritengo che avrebbero una soluzione «non più» abbietta
il giorno in cui si avesse i1 divorzio in Italia; o l'indomani di quel giorno,
una generazione dopo quel giorno... D'altra parte
io non posso considerare inscindibile dall'insegnamento di Cristo
l'avversione cattolica per il divorzio. Gesù Cristo prese posizione contro il
divorzio: è chiaro nei testi sacri. Ma contro quale divorzio? Contro il
divorzio che praticava la società ebraica; contro il divorzio che permetteva
al maschio di scacciare la donna appena gli fosse venuta a noia; contro un
divorzio che aveva per premessa la schiavitù fisica e spirituale della donna.
Questo è, storicamente, il divorzio che Gesù Cristo combatte, come già
alcuni dei profeti, e Malachia (2, 10-16)
in particolar modo. Cioè Cristo combatte per l'eguaglianza tra uomo e donna,
per l'elevazione della donna, per la sua liberazione dallo stato di schiavitù
in cui la teneva, rispetto al maschio, la società ebraica. Ora, coloro per i
quali Cristo è cultura, non possono, e io con essi non posso, prendere alla
lettera le parole che Cristo ritenne di dover pronunciare allo scopo di
combattere efficacemente «quella forma di divorzio». Quelle Sue parole non
possono essere valide oggi per noi allo stesso modo in cui furono valide e
rivoluzionarie nel momento storico in cui Egli le pronunciò. Il valore che
noi diamo a quelle Sue parole è per noi rivoluzionario e trasformatore in
quanto risponde a una situazione storica, e cioè in quanto è storico.
Ma oltre la lettera delle Sue parole, c'è lo spirito di esse; e questo per noi è ancora oggi valido, lo spirito di quelle Sue parole, quando riteniamo che un divorzio istituito su una base di assoluta parità tra uomo e donna sarebbe un passo di più nell'opera di liberazione della donna che Gesù Cristo ha iniziato, e nella liberazione di tutti, uomini e donne, dal fariseismo [4] della menzogna.
V.
(n. 9, 24 novembre 1945)
.
[1]
Uomo politico nato a Ribera e morto a Napoli nel 1901.
Partecipò attivamente alla politica
italiana ed europea del periodo. Scrisse molti libri i argomento politico.
[2]
Movimento teologico ed
eresia, la più importante e duratura che abbia turbato la vita del
cattolicesimo nel diciassettesimo e diciottesimo secolo.
[3]
Parere personale di Vittorini
probabilmente influenzato dalla sua vita privata; del resto in molti dei
suoi romanzi Vittorini affronta il tema della crisi della coppia e della
famiglia (vedi ad esempio in Conversazione
in Sicilia e in Erica e i suoi
Fratelli).
[4]
Il fariseismo è un
atteggiamento ipocrita, falso. Storicamente il termine viene da un movimento
politico e religioso ebreo, i cui aderenti furono accusati da Gesù Cristo
di essere attenti all’esteriorità più che alla sostanza (cfr. ad esempio
Matteo, 23, 1-12).