PREMESSA torna a scelta dei brani di Conversazione in Sicilia

Nel primo capitolo di Conversazione in Sicilia il protagonista, Silvestro, esprime tutta la sua indifferenza e insofferenza nei confronti della vita e del “genere umano perduto”. Descrive il suo stato d’animo in preda ad “astratti furori” ed in particolare parla della “quiete nella non-speranza”: l’impossibilità di reagire e di trovare “nuovi doveri”  in cui credere e per cui combattere. Da qui scaturisce l’idea del ritorno nei luoghi della sua infanzia, inteso come viaggio interiore alla ricerca di valori diversi, di una rigenerazione partendo dalle radici. La vicenda si può collocare all’incirca nel 1936,anno d’inizio della guerra in Spagna. Vittorini è riconoscibile nel protagonista poiché anch’egli si  trova deluso e amareggiato dai risvolti della guerra ed addolorato ma impotente nei confronti del genere umano che vede “perduto” . 

Io ero, quell'inverno, in preda ad astratti furori [1] . Non dirò quali, non di questo mi son messo a raccontare. Ma bisogna dica ch'erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero col capo chino. Vedevo manifesti di giornali squillanti [2] e chinavo il capo; vedevo amici, per un'ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo. Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l'acqua che mi entrava nelle scarpe [3] , e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete.

Questo era il terribile: la quiete nella non speranza. Credere il genere umano perduto [4] e non aver febbre di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad esempio, con lui. Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avevo voglia di nulla. Non mi importava che la mia ragazza mi aspettasse; raggiungerla o no, o sfogliare un dizionario era per me lo stesso; e uscire a vedere gli amici, gli altri, o restare in casa era per me lo stesso [5] . Ero quieto; ero come se non avessi mai avuto un giorno di vita, né mai saputo che cosa significa esser felici, come se non avessi nulla da dire, da affermare, negare, nulla di mio da mettere in gioco, e nulla da ascoltare, da dare e nessuna disposizione a ricevere, e come se mai in tutti i miei anni di esistenza avessi mangiato pane, bevuto vino, o bevuto caffè, mai stato a letto con una ragazza, mai avuto dei figli, mai preso a pugni qualcuno, o non credessi tutto questo possibile, come se mai avessi avuto un'infanzia in Sicilia tra i fichidindia e lo zolfo, nelle montagne [6] ; ma mi agitavo entro di me per astratti furori, e pensavo il genere umano perduto, chinavo il capo, e pioveva, non dicevo una parola agli amici, e l'acqua mi entrava nelle scarpe.

 

[1] “astratti furori”:espressione rimasta celebre; sentimento di dolore e di impotenza nei confronti del genere umano perduto.

[2] “giornali squillanti”:Titoli dei giornali  che descrivevano il succedersi dei massacri e delle lotte dovute alla guerra.

[3] “l’acqua…scarpe”: figura che rappresenta una situazione di estremo disagio.

[4] Frequenti reiterazioni che contribuiscono a dare un’atmosfera onirica e assolutizzante al romanzo.

[5] Sorta di annientamento della volontà, di quiete inerme e di apatia.

[6] Acceno all’infanzia e alla terra d’origine, come luogo di una possibile rinascita spirituale.