LA MACCHINA A VAPORE DI WATT

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Una versione iniziale della macchina di Newcomen non rimase a lungo immodificata. Furono introdotte gradualmente alcune variazioni, ma il grosso salto di qualità fu compiuto attorno al 1756 da J. Watt.

In qualità di "manutentore" di strumenti scientifici all’ università di Glasgow, gli venne chiesto di far funzionare un modellino della macchina di Newcomen, perfettamente in scala, ma in grado di effettuare solo due o tre corse prima di fermarsi. Per capire le ragioni del cattivo funzionamento, Watt eseguì una lunga e accurata serie di esperimenti. Inizialmente ipotizzò che il cattivo funzionamento potesse dipendere da un "effetto di scala". Riducendo, infatti, le dimensioni del cilindro si ha un aumento relativo alla superficie da riscaldare rispetto al vapore introdotto. Dopo aver preso in considerazione ogni minimo aspetto del modellino, si rese conto che la condizione ottimale per il verificarsi della fase di condensazione (l’ immissione di acqua a temperatura inferiore a quella del vapore) era in netto contrasto con la condizione ottimale della fase di espansione, in cui il vapore immesso nel cilindro richiedeva, per espandersi, che la temperatura di quest’ ultima fosse elevata. Il gran consumo di combustibile necessario al funzionamento della macchina di Newcomen sembrava, quindi, derivare dal fatto che la condensazione del vapore implicava il contemporaneo raffreddamento del cilindro che, tuttavia, nella successiva fase di espansione, doveva essere nuovamente riscaldato a scapito del calore contenuto nel vapore.

Così Watt si rese conto che, per impiegare il vapore nel modo migliore, il cilindro doveva essere tenuto sempre alla stessa temperatura del vapore che vi entrava e che, quando il vapore veniva condensato, l’ acqua che ne risulterebbe e l’ iniezione stessa dovevano essere raffreddati a 37,7 °C o anche meno.

Per ovviare a questi problemi, Watt pensò che si apriva una comunicazione tra un recipiente contenente vapore e un altro dal quale l’ acqua e altri fluidi fossero stati sciolti; allora il vapore sarebbe penetrato immediatamente nel recipiente vuoto e avrebbe continuato a penetrarvi fino quando non si fosse raggiunto l’ equilibrio; e se il recipiente fosse stato tenuto molto freddo con un’ iniezione o in un altro modo, dell’ altro vapore vi sarebbe entrato fino a che tutto non si fosse condensato.

Per ridurre il consumo di vapore Watt si rifà ai seguenti principi:

- il cilindro deve essere mantenuto caldo come il vapore che vi entra, richiudendolo in una fodera di legno (trasmette il calore lentamente), circondandolo con vapore o altri corpi caldi e impedendo che l’ acqua (più fredda) venga a contatto con esso;

- il vapore deve essere condensato in recipienti separati dai cilindri (condensatori) che devono essere mantenuti freddi come l’ aria circostante;

- qualunque quantità di aria o di altro vapore non condensato deve essere espulsa per mezzo di pompe;

- la forza espansiva del vapore deve essere impiegata per premere sui pistoni.

Ma solo 6 anni dopo, grazie alla collaborazione della "Lunar Society", la macchina a vapore di Watt cominciò a prendere forma. Fu la stretta collaborazione tra Watt e Wilkinson, proprietario di una fonderia, che permise la realizzazione di pistoni a tenuta, l’ ostacolo maggiore per la costruzione della macchina.

Poiché il rendimento della macchina di Watt era decisamente superiore a quello della macchina di Newcomen, essa si diffuse rapidamente in tutta l’ Inghilterra e l’ Europa.

 

FUNZIONAMENTO DELLA MACCHINA A VAPORE DI WATT

- Il vapore, prodotto nella caldaia, viene immesso attraverso l’ apertura della valvola V1 nel cilindro determinando, grazie alla sua espansione, l’ innalzamento del bilanciere.

- L’ apertura della valvola V2 e la chiusura di V1 lascia fluire il vapore nel condensatore, determinando così l’ abbassamento del bilanciere.

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