Ultima modifica: 2 Febbraio 2015

IL GRUPPO ANTIGONE

Al liceo Vittorini è attivo un laboratorio teatrale dal 1992: è nato nell’ambito del Progetto Giovani; da esso si sono sviluppati, negli anni seguenti, altri laboratori che hanno coinvolto studenti di varie classi, guidati da esperti professionisti, quali il regista Marco Pernich, nella produzione di lavori teatrali rappresentati anche fuori dall’ambito scolastico e premiati con vari riconoscimenti.
Parlare del gruppo Antigone è fare la storia dei laboratori teatrali al Liceo Vittorini. Quando nel 1993 mi fu affidato l’incarico dalla collega Zennaro, responsabile del Progetto Giovani-Progetto Salute della nostra Scuola, di organizzare dei laboratori che fossero in grado di rispondere a quel tipo di istanza formativa che attraverso la mediazione del teatro costituiva l’obiettivo del nostro intervento, non fu facile scegliere fra le molte offerte che piovevano continuamente sulla Scuola dagli ambienti specializzati. Tutte offrivano professionalità, promettevano coinvolgimento, all’interno di incontri strutturati in crescendo fino alla progettazione di uno spettacolo elaborato dagli studenti- sotto la guida di un operatore qualificato -spettacolo che poi sarebbe stato rappresentato all’interno della scuola- simili gli obiettivi dichiarati, le dichiarate modalità d’intervento, l’itinerario culturale previsto. Quello che mi convinse a proporre la collaborazione di Marco Pernich fu però l’intuizione che il tipo di lavoro prospettato sarebbe stato diverso da quello della maggior parte, in quanto avrebbe smantellato tutte le strutture di cui una certa tradizione ha rivestito l’evento teatrale, per recuperarlo attraverso l’esperienza personale di ciascun ragazzo, alla ricerca di un’espressività che fosse, innanzi tutto, finalizzata alla comunicazione. Soltanto in questo senso mi sembrava salvato, in ciò confortata anche dal parere di altri colleghi, l’assunto che l’unico senso realmente formativo del fare teatro nella scuola fosse la ricerca di una dimensione interiore da parte di chi vi fosse coinvolto, e del linguaggio per esprimerla; qualcosa di simile, fatta salva la specificità di ciascun linguaggio, a quanto, in rari momenti di grazia, avviene in classe come controcanto alla lettura della grande poesia, quando ciascun ragazzo è sollecitato a scoprire in sé, in un barlume di intuizione profonda, l’unicità della sua esperienza vitale e la necessità delle parole con cui comunicarla agli altri. Chi di noi, almeno una volta nella sua vita d’insegnante, non ha mai spinto i suoi alunni a scrivere poesie, aiutandoli a comporre versi liberamente ma con regole che fossero, prima di tutto, interiori? Chi di noi non ha mai pensato che solo sul piacere di scrivere, sul gusto di esprimersi per comunicare un’emozione o un pensiero, potesse fondarsi una didattica dell’italiano realmente efficace? Chi di noi non ha avuto in qualche momento la percezione di essere riuscito a trasmettere davvero ai propri alunni l’idea che la poesia -come dice Leopardi- aggiunge un filo alla trama della vita? Ma nel laboratorio teatrale ci sarebbe stato anche il coinvolgimento del corpo, una corporeità da educare a una disciplina senza la quale nulla, di quanto c’è di autentico in noi, può essere realmente comunicato che trascenda la quotidianità da cui nasce. Grandi obiettivi si potrà dire. Certamente, ma avendo ben chiaro che quello che realmente importava non erano i risultati in termini di prodotto finale, ma il processo per arrivare a tutto questo, le tappe di coscienza di sé che avrebbe comportato per ciascun ragazzo grazie all’intrinseca qualità formativa di un percorso che sarebbe stato giustificato qualunque fosse l’esito finale.
“Ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendolo.” (Aristotele: Etica Nicomachea, II, 1, 4)

A cura della prof.ssa Mariella Brunetta promotrice e responsabile dei laboratori teatrali dal a.s.92/93 al 2006/07.