Il Liceo di Piazza Frattini

Il liceo Vittorini è “nato” nell’anno scolastico 1973-74: era allora in due sedi, una in via G.Bellini e l’altra in viale Murillo (presso il CAPAC). Ma già dall’anno seguente una delle due sedi cambiò. Per parecchi anni il liceo non ebbe un nome: veniva chiamato “Il liceo di piazza Frattini”.

Il liceo di piazza Frattini di Ettore Barelli

Così scriveva Ettore Barelli agli inizi degli anni ottanta, riferendosi al decennio precedente:

“A Milano, al Lorenteggio, in piazza Frattini, c’è un liceo, di quelli che ci si ostina a chiamare scientifici, uno dei più recenti e raffazzonati dell’intera provincia, da poco intitolato a Elio Vittorini. L’ingresso però non è nella piazza, ma nella via adiacente, al numero uno di via Gentile Bellini, il pittore, per cui la corrispondenza finisce il più delle volte al numero uno di via Giovanni Bellini, fratello del precedente e pittore anche lui, notissimo in zona come il Giambellino, oppure in via Vincenzo Bellini, il musicista, dalla parte opposta di Milano, quando, nell’incertezza del pasticcio toponomastico, il postino napoletano o calabrese non la respinge subito al mittente. In compenso, in piazza Frattini c’è solo un terzo del liceo, con la presidenza e la segreteria; il grosso, le altre venti classi, sono fuori Porta Ticinese, sul Naviglio, in una brutta strada intitolata al pedagogista svizzero Pestalozzi, ai suoi tempi un patito del metodo naturale, con le conseguenze che si possono immaginare sull’estro pedagogico di taluni insegnanti.”
Oggi, naturalmente, le strutture e le risorse di cui dispone la scuola sono ben diverse.
Barelli proseguiva poi con considerazioni più personali:
“Di questo liceo sono stato preside per tre anni, sul finire degli anni Settanta. Un’avventura piuttosto agitata, a conti fatti. Sessanta professoresse e qualche smarrito professore da mettere d’accordo tutti i giorni con un migliaio di studenti, di cui un quinto maggiorenni; non sono uno scherzo. Debbo dire però che una volta messo in moto il congegno, poteva succedere che di tanto in tanto, nonostante la tragedia di quei giorni, tra un ammazzamento e uno sciopero, calasse una strana quiete, come se il mondo per qualche minuto pretendesse finalmente di riprender fiato. Allora, in una di quelle pause rilassate, cominciai a buttar giù qualche pagina, finché un poco alla volta, anno dopo anno, non ne misi insieme un certo numero, che sono poi quelle che seguono. Le quali, tuttavia, non vogliono denunciare una situazione, non si propongono fini educativi, non espongono una ideologia, un metodo, una tecnica, non trasmettono un messaggio. Scritte tra il flusso e il riflusso della contestazione, non possono dirsi nemmeno un sistematico documento di vita scolastica, e neppure uno sfogo; al più un mugugno. A che serve del resto la denuncia? E poi non è della mia natura. Non ho mai capito come il giudice trovi il coraggio per sedere in tribunale, il cronista per raccattare immondezze, il prete per predicare. Non ho la loro statura morale, evidentemente, non riesco a scindere l’organo dalla sua funzione. E neppure è della mia natura ostinarmi in una convinzione, né ho mai amato un’idea senza sfuggire del tutto al fascino di quella contraria. Ma neppure ho mai chiuso gli occhi alla cialtroneria (a cominciare dalla mia) e ho anch’io da qualche parte, là dove batte autonoma la materia più umida di noi, antenne sensibili. E allora si può capire, mi auguro, perché la forza stessa delle cose, come diceva l’amico Giovenale, mi abbia spinto a dire”.
(E.Barelli, Il Liceo di Piazza Frattini, Mondadori, 1982, pagg. 7-8)